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Sereno e sicuro delle sue affermazioni. Così si è presentato ieri sera Enzo Ciconte all’incontro con i suoi lettori organizzato dalla Libreria Ubik di Catanzaro Lido. Durante il colloquio moderato da Maria Saveria Ruga, storica dell’Arte dell’Università di Pisa, Ciconte ha confermato la sua tendenza a non nascondere la storia, così come accade nel suo ultimo libro “Banditi e briganti. Rivolta continua dal Cinquecento all’Ottocento”, pubblicato da Rubbettino Editore.
Ha parlato a lungo, coinvolgendo il numeroso pubblico presente, di quel fenomeno che per un lungo periodo non è stato non preso in considerazione. Nega che il brigantaggio riguardi solo il meridione e che comunque, abbia mai avuto una commistione con la ‘ndrangheta. “In Calabria – afferma Ciconte – si sviluppò maggiormente nella provincia di Catanzaro e in quella di Cosenza. Nel reggino era presente la ‘ndrangheta che non è legata al brigantaggio e chi sostiene di avere tali discendenze lo fa per millantare origini migliori.
Non ha dimenticato di menzionare mastro Titta, il boia più famoso di quel periodo, e le brigantesse. Del primo racconta della crudeltà con cui decapitava le vittime, finendo per squartarle in quattro parti. Il capo veniva da lui esibito pubblicamente.
Ha descritto le brigantesse come personaggi a volte più crudeli degli uomini, dividendole in due categorie. Quelle che hanno seguito volontariamente i loro uomini e quelle che lo hanno fatto perché violentate dagli stessi briganti. “Difficilmente le brigantesse venivano condannate. Lo Stato, così facendo, intendeva circoscrivere il fenomeno legandolo solo agli uomini”.
Ma la parte più interessante è stata quella riguardante la motivazione politica e le lotte condotte contro il Papato e i Borbone. Idee e fatti espressi hanno sollecitato gli interventi e le domande di un pubblico appassionato alla questione.
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