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“Si veda quella tendenza cosiddetta relazionale in cui l’opera crea una nuova forma di coesistenza opera/pubblico, e l’arte si offre come modello di socialità che crea coabitazione”. Secondo Nicolas Bourriaud, l’opera relazionale, istituisce la sua istantanea collettività di spettatori/partecipanti, mediante la costruzione di un rapporto intrinseco e simultaneo tra fruitore e opera. Coinvolgere il pubblico dell’opera, nell’opera, attraverso l’opera è l’intenzione e di fatti la motivazione, per il quale, l’evento P.A.S. si realizza in una piazza.
Piazza Matteotti è il simbolo di una città come Catanzaro, che apre uno spiraglio prospettico diverso dai vicoli caratteristici, stretti e lunghi che la compongono. Il cavatore in alto, chiude il senso rotatorio delle auto, che intorno si muovono, e costruzioni geometriche al suo interno, suddividono spazi aperti, interessanti per una rappresentazione più profonda del concetto di condivisione urbana.
Il progetto consta di una grande opera in ferro, dal titolo Cutting (5 x 2 metri), come risultato di un lavoro collettivo, e quasi, in sostituzione alle pubbliche adunanze greche dell’agorà, si erige al centro della piazza. La grande tenaglia, mette in evidenza, la volontà della crisi diventata sistema, di tagliare il “superfluo”, ma dall’altro, la necessità degli individui di tagliare dipendenze, per la quale emancipazioni culturali e sociali, stentano a svilupparsi.
Metaforicamente, un pò più in là della grande opera, il taglio vuole attuarsi nei confronti della grande grata in ferro, che costruita di proposito, circoscrive una delle opere in mostra, mettendo in evidenza, la necessità di dare alla bellezza il valore e il ruolo che gli spetta, evitando di relegarla, nei limiti percettivi dei beni ultimi.
Di fruibilità diversa, sono le cinquecento confezioni, di pillole di speranza culturale, distribuite al pubblico partecipante all’evento. Esse contengono indicazioni specifiche e, un simbolico piccolo elemento in gesso al suo interno, al fine di determinare nel percorso individuale, una scintilla di consapevolezza, attraverso il ricordo perenne, di una temporanea condivisione.
A destra della grande opera, lì sulla scala, il lavoro di Beatrice Basile, tenta di rendere “morbida”, una seduta non appropriata, quasi a svincolare il concetto stesso di rilassatezza, approdando ad un inconscio di certo più angusto e intimo. Aldilà della scala, nel vuoto cementizio, l’opera sospesa di Valentina Trifoglio utilizza visivamente i segni bidimensionali, e in modalità leggera e leggiadra, li trasforma in euforica esplosione tridimensionale, quasi a formare un arazzo nell’aria. Di lì a poco, l’opera di Elvira Malysheva, si slancia in alto verso il celo, ma riporta gli occhi dello spettatore a terra, dove giacciono bobbine di derivati, da lavorazione elettrica, al fine, di mostrare come l’uomo abbia creato dipendenze elettriche così forti da rimanerne folgorato dall’abuso, e passare da controllore a controllato.
Tra le siepi, campeggiano invece le opere installative di Valentina Ceraso che utilizzando gli stilemi dello slogan da manifestazione, mette in evidenza come il pensiero del fare e dell’essere cultura, viene spesso bruciato dalle fiamme dell’ignoranza, rimanendo impossibilitato, a riscaldare l’animo umano. Non lontano, il corpo in ferro, di Barilaro Francesco, pone l’accento su uno stato intimo ed emotivo differente. Immobile cerca di svincolarsi dalla stessa gabbia, che lo tiene rinchiuso, dalle paure che lo hanno saldato ad un perenne stato d’immobilità emozionale, e per questo si dispera e si strugge alla ricerca di un movimento di liberazione.
A questo corpo, si contrappone il nudo di fanciulla in gesso di Alessandro Donato, che ripiegato su se stesso, evidenzia, dalla schiena e dalla posizione delle gambe, l’ansia che la percuote, nei confronti di un mondo sempre poco attento alle attitudini umane e alle aspettative dell’anima. Di stessa origine ma di fattezza diversa, è l’opera di Marta Cerminara, che riconduce ad una riflessione, attenta sull’embrione che da umano diventa disumano, non per suo stesso volere, ma per altre e alte volontà, che rinnegano il valore per il quale viene concepito. All’origine, o potremmo dire iniziatico, è l’opera di Antonella Rotundo, che eleva con delicatezza nella trasparenza del vetro, il pensiero di nascita, ad uno stato simbolico alto, dove la nascita non è un numero imprecisato, ma anzi un’occasione di evoluzione e di cambiamento per il mondo intero. Di esplosione differente, è l’opera di Federica Benvenuto, che apre allo spettatore, un’energia positiva e dinamica, utile alla comprensione di aspetti interiori, non sempre latenti, ma comunque vivi e attivi, nell’animo umano. Di dogma esistenziale, è invece l’opera di Simone Fabietti, che attraverso un’esclamazione ci riporta alla difficile questione, che l’intera esistenza umana è costretta a rispondere prima o poi, e sul valore che tale risposta comporta. Di lucentezza metallica, si compone l’opera di Antonella Rocca, che sul tema così delicato dell’acqua, salda forchette in acciaio per lasciare che le une dipendano dalle altre, come la mancanza di acqua in alcuni continenti, dipenda dall’abuso della stessa in altri paesi. Di naturale essenza è l’opera in legno e acciaio di Nicola Bevacqua, che partendo dal concetto chimico, d’intersezione molecolare, ci riporta in una dimensione dove la consistenza si fonde con l’inconsistenza, passando dalla fiamma dell’ardore nell’essere bambino, alla passione della conservazione di un fungo naturale. Di tratto naturale, invece, è l’albero in acciaio, di Fiormario Cilvini, che tra gli spazi architettonici, si apre rivolgendosi al celo, e nell’attesa di un cambiamento emozionale, si prepara a raccogliere e accogliere metaforicamente la rugiada, ma nella realtà, attende, l’amore, ancora non abbastanza condiviso.
Prof.ssa Rosaria Iazzetta
Inaugurazione Mercoledì 13 Giugno 2012 ore 16:00
Piazza Matteotti, Catanzaro
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