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Mostra “Il grido nel fango”
Personale della scultrice Maria Mancuso
Castello di Squillace – Catanzaro
“Il grido nel fango” Personale della scultrice Maria Mancuso
Castello di Squillace – Dal 6 al 28 agosto 2011
Gli spazi del Castello di Squillace accolgono, con entusiasmo, le opere della scultrice Maria Mancuso. Il percorso espositivo, curato dalla Soc. Coop. AreaCultura e dalla Ass. Hermes di Napoli, prevede l’esposizione di circa 20 opere selezionate per illustrarne l’evoluzione stilistica. In occasione dell’evento sarà organizzata, sabato 6 agosto alle ore 18.30, l’inaugurazione con l’artista. La mostra calabrese fa seguito alla prestigiosa esposizione personale tenutasi a Napoli, lo scorso febbraio presso le sale di Castel Nuovo (Maschio Angioino).
CASTELLO DI SQUILLACE
Piazza Castello, Squillace Superiore 88069
Segreteria organizzativa: Soc. Coop. AreaCultura Tel. 3398895124 info@pec.areacultura.com
Orario di apertura dal Lunedì a Domenica dalle ore 17,00 alle ore 20,00
Biobibliografia
Maria Mancuso, vive ed opera a Catanzaro, dove si è trasferita fin da bambina dalla natia Patti, laureata in economia e commercio ha preferito abbandonare la professione per dedicarsi con entusiasmo alla scultura. Figlia di Michele Mancuso noto poeta e romanziere siciliano del primo novecento, sin da ragazza è immersa nel mondo dell’arte, ancora bambina conosce il maestro Rito e le sue opere, ne rimane colpita e affascinata, era amica ed ha frequentato con assiduità lo studio del grande maestro Andrea Cefaly vedendolo a lavoro per più di un quarto di secolo. Dal 1989 al 1994 ha rivestito la carica di vicepresidente (Pres. Italietta Carbone) e segretaria della F.I.A. ( Federazione Intersindacale Artisti ). Ha collaborato con Toni Ferro, direttore dell’Accademia di Catanzaro, ai “Mercoledì Culturali”.
Ha esposto le sue opere nelle seguenti mostre:
1988
Personale galleria d’Arte “Il POZZO”, Catanzaro.
Presentata in catalogo da Achille Curcio e Toni Ferro:
“… come nella natura le cose assumono dimensione diversa, a seconda della loro collocazione e dell’usura o meno che subiscono a contatto con il susseguirsi di accadimenti esistenziali, così come le terrecotte (o “cocci” come le chiama) di Maria Mancuso dimostrano il divenire delle forme, la estrema disponibilità a trasformarsi sotto le mani dell’artista, in invenzione che trasfiguri l’oggetto pur cogliendone, nel momento stesso in cui lo si analizza, l’atteggiamento, i momenti portanti di un movimento, che attraverso il gioco dei volumi acquisti equilibrio e diventi così emozione ed insieme completezza, ordine, coordinazione.”
“ I cocci di Maria non suscitano l’impressione di una virtuosa elaborazione della materia, bensì procurano emozioni e dentro le figure si avverte un respiro di poesia. Bisogna avvicinarsi a queste terrecotte ed esaminarle, entrarci dentro nel senso che bisogna scoprire il tormento attraverso il quale sono state pensate e risolte in forma concreta. È quasi incredibile che soltanto da due anni l’artista si trastulla con il gioco delle forme e ne trae immagini per puro suo godimento.”
“Maria scrive la sua storia interiore mediante figure da cui traspare la musica struggente di una sofferenza, ma anche di un incanto, che è poi la storia di una donna madre che cerca di appagare lo spirito attraverso l’arte difficile e dura di modellare la materia per crearne un’idea, un’invenzione, un ritmo, una tensione nella libertà che ancora – oltre la banalità quotidiana – può essere concessa solo all’arte.” (da “Il gioco dei «cocci»” di Achille Curcio)
“…vi parlerò di Maria.
È dunque una dilettante questa signora bene di Catanzaro, è direi, dilettante purosangue perché vive il suo fare scultura veramente con diletto, con il piacere ingenuo di chi fa l’arte per fare « qualcosa », ma esattamente quel qualcosa che è « l’arte », perfino partendo da fango.
I suoi primi lavori sono indubbiamente riferiti a temi e tecniche esecutive di un naturalismo – verismo un po’ mistico (la sofferenza come valenza estetica di per sé), un po’ macchietti stico (l’ironia del popolaresco e dell’artigianato). Più avanti, ma molto in fretta, la nostra entra in una iconologia espressionista, le masse hanno un rilievo tormentato e la « sofferenza » del primo momento si libera del patetico e diventa il dolore del dramma (penso a Rouault).” (da “Del Dolore e dell’Arte” di Toni Ferro).
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