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{Alla memoria di Giacomo Matteotti e Giulio Regeni}. Riflessioni per una nuova coscienza culturale fatta di libertà, confronto, progetti e dialogo nuovo.
In questi giorni, nelle poche giornate di sole e nel pochissimo tempo libero, mi aggiro nelle valli piemontesi in visita di qualche paesino e qualche amico sincero. Non posso, durante queste visite piacevoli, a volte anche cordiali, fare a meno di notare le molti lapidi alla memoria di chi cadde ancora giovane durante la guerra di liberazione. Una di queste lapidi è eretta a poco più di due passi da casa mia, in un vicoletto, non è quasi mai baciata dal sole, non è quasi mai adornata di fiori. Commemora un ragazzo che avrà avuto poco più di 22 anni. Venne messo al muro dai tedeschi e fucilato sul posto. Non sono riuscito a sapere di più.
Invece sono stato capace di pensare parecchio. La mia riflessione è andata verso i molti, che in quegli anni hanno volutamente rinunciato alla bellezza della propria gioventù, affinchè, anni dopo, un altro italiano, magari da molto lontano, magari del triste meridione, ne giovasse. Potesse godere di quella gioventù “rinunciata” per dovere storico e morale, sottratta anzitempo alla vita, sognando un radioso futuro di libertà, solidarietà umana, democrazia. Sinceramente poco mi importa della fede politica di questo ragazzino portato nel vicolo e impallinato da vigliacco piombo straniero e nemmeno mi importa l’iconografia un po’ pecoreccia, che magari quel ragazzo, se fosse cresciuto, oggi molto più attempato mi avrebbe dato del “terronazzo”, sono certo che mi avrebbe consentito di rispondere in maniera caustica, provocatoria, secca, come sono solito fare non negandomi il diritto di dissentire o di proferire un’idea.
In un altro paese poco distante, vi sono lapidi di altri giovani, molti sono i cognomi meridionali, caduti anche loro nella resistenza. Si sbandarono dopo l’8 settembre e piuttosto che rientrare nelle proprie case, preferirono ingrossare le fila partigiane. Molte donne, facendo una scelta coraggiosa e di campo finirono al loro fianco. Molti i cattolici e i moderati tra le brigate Mattei e non erano di certo comunisti ortodossi.
Le ragioni per cui sacrificarono la vita gli uni, non furono le ragioni per cui la sacrificarono altri, valori di libertà, uguaglianza, democrazia, dignità, solidarietà, libertà. Ecco perché il 25 aprile fu la vera unità d’Italia, che poi diede vita alla Repubblica e alla Costituzione della Repubblica Italiana. La via maestra, la nostra Carta, figlia dell’antifascismo che ricusa il fascismo e lo vieta. Sia ben chiaro, il sottoscritto non è tra coloro che identifica la resistenza nella semplice ribellione, insurrezione, rivolta: fu una vera e propria guerra civile combattuta aspramente, specie nei territori del Nord-Italia. E nelle guerre civili ci si esaspera, si compiono massacri orrendi.
Le guerre civili non portano con sé nulla che non sia la mera violenza perniciosa che le caratterizza. Tuttavia, non bisogna dimenticare che di fronte a un regime ostile, brutale, che aveva fatto della violenza il mezzo preferito di propaganda, di epurazione, di presa del potere e che aveva sottratto le libertà fondamentali fino a sopprimerle del tutto non vi era altro modo di reagire se non quello. La rabbia popolare covata per oltre un ventennio sotto lo sperone di un regime spregevole dal punto di vista politico, sociale, intellettuale ed economico, esplose trovando sfogo nelle generazioni specie in quelle più giovani.
Da quel rancore se ne uscì a cose finite, finirono lì dove erano iniziate: a Piazzale Loreto. Ciò che era iniziato nella barbarie, finì nella barbarie. Ci si rese conto, tuttavia, che una nuova idea di Stato era possibile e si gettarono i semi per far germogliare i valori repubblicani e costituzionali e facendo in modo che non ci fossero più italiani contro italiani, europei contro europei, ma solamente fratelli con visioni della vita politica e sociale diversa.
Il 25 Aprile è dunque la festa di tutti i democratici, siano essi progressisti o conservatori ed è per questo che non è una festa per reazionari, nostalgici, fanatici di ciò che non è e non deve essere. Per anni, una falsa tradizione storica, settaria e oralmente trasmessa, ha dipinto nei piccoli comuni calabresi un “fascismo dal volto umano”, solo per il semplice fatto che le personalità istituzionali del regime e messe a capo delle gerarchie locali, abbiano manifestato una sorta di pietà indulgente verso i propri concittadini della medesima comunità. Non è vero niente!!! Chi ha memoria dei racconti dei propri padri vada ai relativi ricordi di famiglia, alle foto conservate dentro ai cassetti, alle lettere, ai racconti, ai distintivi sociali e alle fogge vietate da miserabili maggiorenti che si atteggiavano a neofeudatari di quel periodo e il cui “misero spiritello spocchioso” ancora perdura in qualche crapula testa mai doma ancora puzzona di superomismo sulfureo.
Ero in vena di ricordi, da qualche pagina social, ho visto ben volentieri le foto del passato, ad esempio un vecchio “Festival dell’unità”, le raccolte delle vecchie tessere del P.C.I. . Era un altro passato, più povero ma con più coscienza, il mondo non era ancora postmoderno e fluido e si credeva ancora nella cultura e nell’ istruzione come vettore della rivoluzione, delle riforme, del progresso. In questo vettore bisogna continuare a credere, se non vogliamo perdere la speranza di un futuro migliore, dobbiamo credere oggi come ieri, e in maniera vigorosa, specie adesso che spirano da ogni parte i venti della “GUERRA GRANDE”. Ci dobbiamo credere come Italiani, come democratici, come Calabresi, che si riconoscono nella Costituzione e nei valori antifascisti, prima che al posto della libertà ci siano gli stati di guerra e prima che al posto degli ospedali si costruiscano cannoni. Dovremmo capire che senza cultura ne risente ogni coscienza civile e di converso ogni festa laica perde la sua spiritualità costituzionale e istituzionale.
Spiritualità che è fatta ancora, da noi, di solidarietà e confronto tra simili e ugali, per nulla diversi per censo o studi. Senza silenzio buon 25 Aprile a tutti voi, oggi come allora, per il pane, la dignità, la libertà, la democrazia e soprattutto la pace tra le nazioni.
Contro ogni tirannide di barbaro dominio.
di Domenico Principato
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