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di Vincenzo Pitaro
Alcuni candidati alle Regionali sono convinti che i cittadini capiscono poco, se non poco e niente, di politica. E sbagliano. Sbagliano di grosso. Perché si può star sicuri che essi capiscono più di quanto si pensi.
L’umano – per sua natura – è razionale: ha una testa e dentro di essa un cervello. È una «canna pensante», diceva Pascal.
Non per tutti è così? Esistono ancora persone che sono solo «canne» – senza l’aggettivo verbale – destinate a piegarsi secondo la direzione del vento? Beh, sono fatti loro. Dopotutto, questo tipo di persone – che si spera facciano parte, per il bene della Calabria, di un gruppo piuttosto sparuto – interessa relativamente o, se vogliamo, non interessa affatto.
Il problema che qui si vuole affrontare, d’altronde, è un altro e parte da un interrogativo di fondo. A primavera si torna alle urne per il rinnovo del Consiglio regionale. I «bla-bla-bla», da una parte e dell’altra, riecheggiano già da tempo nelle vallate. Ma quale Calabria ci viene effettivamente consegnata alla vigilia del voto?
Non di certo una Calabria che ride. Questa regione – e ciò purtroppo è diventato un monotono refrain – versa in condizioni che definire drammatiche è pur certo un eufemismo. Basterebbero soltanto pochi dati e qualche considerazione per dare la misura e l’entità della gravità del «fenomeno Calabria». Di questo, più che di altro, dovrebbe tener conto il mio carissimo amico e collega Gianluigi Paragone (che conosco e stimo da quasi vent’anni) quando si trova ad affrontare – nella sua trasmissione settimanale di Raidue «L’ultima parola» – i problemi del Sud e in particolar modo della Calabria. Sono problemi e bubboni per la cui soluzione e risanamento i giovani, i meno giovani, le donne, i calabresi onesti (che sono la stragrande maggioranza) sono impegnati ormai da anni a condurre le loro lotte democratiche e non senza sacrifici.
La realtà, ahinoi!, è oltremodo eloquente e sintomatica al punto che ogni commento risulterebbe perfino superficiale. Le piccole industrie chiudono, i Fondi comunitari (che fino all’altro ieri con l’ex sottosegretario alla Regione Calabria, l’economista Vincenzo Falcone, sembravano procedere bene) oggi sono fermi al palo, le iniziative muoiono sul nascere, il turismo segna il passo e la disoccupazione aumenta sempre di più.
A questo spaccato della realtà calabrese, che mette a nudo annosi problemi, ha fatto riscontro quasi sempre nelle passate legislature (sia per colpa della Sinistra, sia per colpa della Destra, e qui sì che la par condicio c’entra veramente) una condotta politica votata al più totale immobilismo, con rigidi arroccamenti, inveterate posizioni di potere, a tutto vantaggio di quelle «lobby» intenzionate a far sì che le cose in Calabria restassero immutate. Ricordate quel famoso romanzo di Tomasi di Lampedusa? Bene! La speranza è che non s’instauri definitivamente, anche qui da noi, il «Gattopardo».
Per il resto, lo avrete senz’altro intuito: non stiano «sentenziando» o assumendo le difese d’ufficio né in direzione dell’uno né dell’altro schieramento, sia del passato che del presente. Si è solo cercato di fare in sintesi un’analisi della Calabria, così come si presenta alla vigilia di questa nuova tornata elettorale di marzo.
Ciò che ci sta veramente a cuore, repetiva iuvant, infatti sono solo le sorti della Calabria, il suo avvenire. Ecco perché ogni buon Calabrese (e per «buon Calabrese», di grazia, s’intende non colui che va al voto in base a considerazioni emotive, a stati d’animo o altro, ma colui che – come si diceva all’inizio – ha una testa e dentro di essa un cervello) l’imperativo categorico questa volta è uno soltanto: riflettere!
Un voto ragionato (per chi decidesse di recarsi alle urne, visto che anche il non voto è un sacrosanto e rispettabile diritto), questa volta dunque è più che un obbligo. Viceversa, non ci resta altro che lasciar cadere sul fondo finanche la speranza!
La speranza che quel proverbiale «Cristo», che da tempo immemorabile si ostina a restarsene di là da Eboli, possa un giorno arrivare a mettere piede anche in questa nostra sfortunata regione.
Vincenzo Pitaro
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