Pagliacci Clandestini a Salonicco per progetto “Greece”

santhos frakapor

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Dal 28 di settembre al 3 di ottobre i Pagliacci Clandestini in collaborazione con Enzo Infantino sono sbarcati a Salonicco dando inizio al progetto “Greece – persone che incontrano persone”.  Il progetto autofinanziato nasce dalla collaborazione con Enzo Infantino, importante guida e conoscitore del territorio, che già da tempo ha intrapreso un percorso di sostegno umanitario. Il gruppo, composto anche da cinque attori della compagnia e dal fotografo professionista Pietro Politi ha raccolto, prima della partenza, vestiario, beni di prima necessità e giochi da lasciare nei campi profughi greci. Sin dal primo giorno i membri della compagnia si sono esibiti con i loro spettacoli davanti a più di 2000 persone.  Arrivati a Salonicco la compagnia ha subito visitato il primo campo, seguiti da Mosa e Mustafà, due fratelli curdo siriani di Aleppo arrivati in Grecia attraverso la Turchia con le proprie famiglie (Mustafà, Evin e 4 bambini – Mosa, Rukash e due bambini). Ad Aleppo avevano case e due fabbriche di mobili. Hanno deciso di andar via dalla Siria dopo l’arrivo dei terroristi. Oggi non hanno più nulla. Gli spettacoli si sono svolti in diversi campi. Centinai di km percorsi per poter incontrare più persone possibili.

Primo giorno. Campo di Sinatex, una fabbrica dismessa a 10 Km da Salonicco nella quale risiedono circa 120 persone. “Siamo accompagnati da Mustafà. I militari non ci lasciano entrare; Decidiamo di dar voce ai nostri tamburi: i bambini e gli adulti sono già fuori, il pianeggiante e verde campo assolato adiacente al capannone recintato si trasforma in un circo. I sorrisi, la voglia di lasciarsi coinvolgere pienamente invade tutti, senza distinzione. I bambini più piccoli incantati da suoni e colori, gli adolescenti desiderosi di essere protagonisti di quel che succede, gli adulti incuriositi da questo strano gruppo di artisti. Ma a fine spettacolo siamo noi a scoprire la generosità del popolo curdo. Il tempo di svestire l’abito di scena e levare il trucco dal viso e ci ritroviamo sotto l’unico grande albero davanti al campo. Stesi dei teli sul prato secco è servita la cena, preparata da due donne, due mamme. Una è la mamma di Mosum un bimbo curdo di otto anni appena divenuto simbolo della resistenza e della speranza dell’infanzia vissuta da profugo; l’altra è la mamma di Imad un giovane curdo biologo che nel campo aiuta il suo popolo e i medici volontari. Le storie si intrecciano, danze, canti curdi e italiani”.

Secondo giorno. Campo di Alexyl sono presenti circa 500 persone. “Passiamo a prendere Mosa, un amico curdo che ci accompagnerà anche nei giorni successivi. Alexyl è un po’ più distante dal campo di Sinatex, ma sempre vicino alla città; all’interno del campo un grande capannone industriale dismesso con adiacente una costruzione in muratura dove risiedono i militari. All’ingresso non troviamo nessun blocco, strano. Entriamo. Il campo è in salita, l’aria impregnata di odori forti. Un giovane curdo ci mostra la strada, attraversiamo il campo, incontriamo tanti uomini e tante donne impegnati nel tentativo inutile di mantenere pulito. Qualche bambino si è già unito a noi chiassosi al rullo di tamburo e finalmente arriviamo allo spazio dei giochi dove troviamo una giostra castello. Comincia lo spettacolo, i bambini spuntano da ogni direzione, sono davvero tanti, difficile contarli, forse un centinaio. Tanti adulti si avvicinano e si aprono i teli delle tende dapprima chiuse e appaiono occhi curiosi e sorpresi. Diventa un gioco coinvolgente, per un’ora circa il tempo è sospeso, ci sono solo gag, cadute, risate, danze e una canzone che i piccoli vogliono insegnarci e tanta gioia. Tutto interrotto bruscamente dai militari, non sono molto felici della nostra presenza, ma noi proseguiamo, andiamo avanti, a fatica lasciamo i bambini. Pietro riesce a nascondere la macchina fotografica. Passiamo tra le tende non vogliamo ripercussioni sui nostri amici che restano nel campo. Restiamo al limite del campo a chiacchierare e distribuiamo un po’ di indumenti portati con noi in viaggio”.

Terzo giorno. Nea Kavalas campo nella zona di Policastro a circa 50 km da Salonicco. Costruito sulla spianata di un aeroporto dismesso, circondato da campi di cotone, senza acqua, risiedono circa 900 persone. “I militari ci fermano, dobbiamo esibire i documenti per la registrazione in entrata. È buffo, noi già in costume da clown e il militare seduto al tavolino che cerca di riconoscere chi siamo, guardando la foto del documento. Niente cellulari, niente macchine da presa. Ma solo all’ingresso, più in là le faremo apparire per poi non averle più all’uscita. Vogliamo raccontare in che condizioni vivono centinaia di persone. Parcheggiate e dimenticate. Il materiale video e fotografico servirà per farlo al nostro rientro.  Pietro si muove come un fantasma. Questo campo è davvero immenso, ricoperto di tende bianche. La musica e i nostri canti richiamiamo l’attenzione dei bambini che arrivano da varie parti, chi a piedi con ciabatte spaiate, chi su bici sgangherate, chi in braccio a mamme stanche o a nonni sorridenti. Quel pezzettino di terra diventa teatro di confine. I bambini non si stancano, non ci lasciano andare, alcuni ragazzi si avvicinano incuriositi e scappano timidi, mamme e nonni ridono fin quasi alle lacrime. Ma noi dobbiamo ritrovarci tutti, alcuni sono in giro tra le tende, dobbiamo andar via. Scopriamo che in questo campo qualunque malattia, qualsiasi disturbo fisico, ogni dolore ha una sola risposta: paracetamolo. Tutto viene curato con una sola medicina. A fatica salutiamo e dopo un giro per il campo scopriamo che lo spazio dei giochi è recintato, un recinto dentro il recinto!”

Il pomeriggio raggiungiamo Sinthos Frakapor camp. Fabbrica dismessa. Sono presenti 572 persone. “Entriamo senza alcun blocco. Ci accompagnano Mosa e Rasgar che nel campo ha una zia. Nel capannone ci accoglie lo striscione “One love, one heart, one destiny”. In realtà ci accolgono uomini e donne stanchi di stare chiusi e che appena sentono rumore si staccano dalle loro occupazioni ed accompagnano i bambini allo spettacolo. Ci saltano in braccio, hanno bisogno del contatto, del calore umano di chi è arrivato con i colori della speranza e della pace. Fa caldo dentro il capannone e l’aria è piena, si respira a fatica, ma lo spettacolo non ha sosta. Lo spettacolo non ha sosta ed ogni accenno alla conclusione cade nel vuoto. Si ricomincia tra palline, corde, foulards, corse e rincorse. Bambini felicemente eccitati, adulti tornati almeno per un po’ alla spensieratezza. Ci aspettano in tenda, tè e caffè, racconti di vita, donne bellissime nella loro semplicità e poi uno spettacolo curdo. Rasgar, il nostro amico, suona per noi il Tanbur strumento tradizionale”.

Ultimo giorno. Idomeni. Ultima tappa del viaggio. “Arriviamo e non c’è più niente. Solo memoria di 15000 mila persone, bambini, adulti, anziani che hanno tentato la strada della possibilità di vivere a dispetto dell’ordinarietà della violenza e della repressione del loro Paese. Memoria di barriere che si alzano bordate di filo spinato e vengono protette da uomini armati. Calpestiamo il terreno su cui hanno dormito intere famiglie, intravediamo resti di quella vita, ci lasciamo catturare dal grande cartello dipinto dai primi volontari arrivati a sostegno dei profughi. Quella parola ci restituisce un germe di umanità, placa il dolore che inevitabilmente proviamo ed è amplificato dall’avere abbracciato tanti bambini, stretto mani di uomini e donne impauriti e coraggiosi, incrociato sguardi stanchi, umili e fieri. Quella parola ci accompagna tutti, loro che restano in attesa di andar via, noi che proviamo a ritornare. Quella parola è HOPE”.

Questo è solo il primo step di un progetto che vuole mantenere alta l’attenzione verso tutte quelle persone bloccate nei campi profughi in Grecia. Come spesso accade dopo i primi mesi sotto i riflettori tutto finisce nel dimenticatoio. Per far si che questo non accada, sono tante le iniziative che verranno sviluppate sul territorio italiano grazie a questo primo viaggio. Due reportage, uno fotografico e l’altro video, incontri con le scuole, spettacoli teatrali, seminari, il coinvolgimento di diverse realtà diventeranno importanti strumenti di comunicazione e sensibilizzazione. Sono migliaia le persone bloccate in Grecia nel limbo dei campi intorno a Salonicco, senza acqua corrente, energia elettrica, in condizioni igienico sanitarie pessime.  In tutta la Grecia sono 57 mila le persone in questa situazione. Naturalmente il progetto avrà bisogno del sostegno di tutte quelle persone, singoli cittadini e artisti, che vorranno avvicinarsi e accompagnarci in questo lungo percorso di sostegno e cambiamento. Basterà mettersi in contatto con la compagnia Pagliacci Clandestini o Enzo Infantino. Un importante ringraziamento va alla generosità di Lillo Aloi dell’Associazione “Col tuo tempo” che ha messo a disposizione della compagnia, in modo gratuito, un furgone nove posti. All’associazione Magnolia per il sostegno economico e a tutti i singoli cittadini che hanno contribuito in modalità diverse alla riuscita del progetto.

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