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di Lilli Tripodi
Monasterace è un piccolo comune posto al confine ionico settentrionale della provincia di Reggio Calabria con quella di Catanzaro. Il suo territorio è fisicamente limitato dalla fiumara Assi, a nord, e dal torrente Stilaro, a sud. Come la maggior parte dei comuni calabresi, anche questo consta di un centro storico di origine medievale, posto a 138 m slm, tra colline ulivetate, e di una corrispondente gemmazione costiera di più recente formazione, interposta invece alle tipiche piantagioni di agrumi che si dislocano lungo la fascia pianeggiante litoranea. L’origine di Monasterace risale in realtà alla prima metà del VII secolo a.C., quando le popolazioni greche fondarono l’antica Kaulon, nei pressi dell’attuale Punta Stilo. Diverse versioni si conoscono per quanto riguarda l’etimologia del nome. Secondo lo storico Filippo Cluviero, in seguito alla caduta dell’impero romano d’occidente, l’area corrispondente all’attuale Monasterace venne denominata Monte Arachi, molto probabilmente per la produzione di veccia, tipica del luogo, e successivamente Montarachi. Allo stesso modo si presume che il toponimo di Monasterace possa derivare da quello di Monte Storace, con il quale veniva indicata la zona in questione fino al 1783. All’interno del paese vecchio sono ancora visibili le vestigia del castello medievale che fu dominio dei principi Caracciolo fino al 1464 e che, dopo innumerevoli passaggi di proprietà, fu venduto, dopo il 1919, dal Cavaliere Giuseppe Sansotta ad alcune famiglie del luogo che lottizzandolo ne deturparono l’aspetto originale. Memoria dell’origine greca di Monasterace sono i resti del tempio dorico rinvenuti per la prima volta nel 1912-13 presso la Punta Stilo dall’archeologo Paolo Orsi. Secondo la ricostruzione eseguita attraverso i peritali studi archeologici, l’edificio templare risale agli anni 430-420 a.C. e, come ogni edificio religioso di ordine dorico e di età ellenistica, fu eretto su una terrazza artificiale sulla quale venne posto un crepidoma formato da tre gradini, alla base del quale si ergeva il recinto colonnato esterno (peristasi) formato, secondo le regole della proporzione classica, da sei colonne sui lati corti e da tredici su quelli lunghi. L’interno del tempio era costituito da una cella (naos) preceduta da un vestibolo (pronao) e conclusa da un vano retrostante (opistodomo), accessibile solo ai sacerdoti. La fronte principale si componeva di un epistilio (trabeazione), sorretto dalle sei colonne della peristasi e composto da un’architrave e da un fregio, a sua volta formato da lastre di pietra scolpite con tre scanalature verticali (triglifi), alternate ad altre lastre policrome o scolpite con vari elementi decorativi, dette invece metope. La parte culminante della fronte terminava in un timpano triangolare racchiuso in una cornice (detta geison), su cui poggiavano le sime, ovvero le due fascie di gronda delle falde del tetto.
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