Ghost Town, esplorando Africo Vecchio

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Speciale Ghost Town, esplorando Africo Vecchio

Tempo fa abbiamo inaugurato gli speciali dedicati ai luoghi abbandonati trattando di un Lost Place molto caratteristico: l’ex base militare americana USAF di Monte Nardello (Roccaforte del Greco, RC).

La base militare, nata per controllare le radiocomunicazioni nel Mediterraneo, fu attiva dal 1965 fino a metà degli anni Ottanta quando l’uso dei satelliti la rese obsoleta fino a decretarne il completo abbandono.

Oggi è ridotta a una discarica nel mezzo del Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Il racconto di oggi, invece, ha per protagonista una città fantasma vera e propria, ci riferiamo ad Africo Vecchio (Africo, RC).

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“…questa città è nata per diventare una Ghost Town…” è questo l’infelice pensiero che si è fatto largo ad ogni passo mentre ci avvicinavamo ad Africo Vecchio: un borgo sperduto nell’Aspromonte, raggiungibile solo a piedi percorrendo una mulattiera, che parlava una lingua oscura retaggio di un passato remoto.

Africo Vecchio, uno dei paesi più affascinati del reggino

Sembra il principio di una affabulazione orchestrata da un sapiente narratore, invece sono solo i caratteri distintivi di uno dei paesi più affascinati del reggino.

La nostra esplorazione è iniziata dalla Chiesa di San Leo che dista circa mezz’ora di cammino da Africo Vecchio.

La tradizione racconta che San Leo sia nato a Bova e che abbia studiato nel convento basiliano della SS. Annunziata ad Africo.

Le spoglie del santo sono state a lungo oggetto di contesa fra Africo e Bova, oggi sono conservate nella città bovese.

La chiesa, al momento della nostra visita, era chiusa.

L’abbiamo osservata solo dall’esterno.

La struttura della Chiesa

Si tratta di una struttura semplice ed umile, specchio della gente che abitava quest’angolo sperduto di Calabria.

Nonostante questi luoghi sembrino abbandonati e deserti, ancora oggi i festeggiamenti per San Leo nel mese di maggio animano la piccola chiesa, con l’icona del Santo portata in processione come indizio incontrovertibile della volontà della gente di non dimenticare le proprie origini.

Dalla chiesa di San Leo, gettando lo sguardo oltre il vallone, si vedono i resti di Casalinuovo: un altro paese che ha subito la medesima sorte di Africo Vecchio e di cui ci occuperemo in futuro.

Lasciata la Chiese di San Leo abbiamo imboccato il sentiero che ci ha condotto alla Ghost Town.

Africo Vecchio si trova su un costone roccioso a sinistra del torrente Apòscipo, un affluente della fiumara La Verde.

Prima del suo abbandono…

Poco prima del suo abbandono, insieme a Casalinuovo, contava circa 2500 abitanti.

Oggi sarebbe impossibile immaginare che così tante persone possano aver vissuto in un luogo talmente remoto che non è raggiungibile con una automobile.

Eppure ad Africo c’erano abitazioni, edifici pubblici, una chiesa, uomini e donne con le loro storie ormai perdute fra i rovi che si intrecciano in abbracci inestricabili.

Ci siamo fatti largo a fatica fra le fronde e le acuminate spine che si impigliavano fra i nostri vestiti quasi a trattenerci ancora un po’ fra le loro spire.

Seguendo l’unico itinerario ancora percorribile e sgombro dalla folta vegetazione che prospera tutt’attorno, abbiamo raggiunto la chiesa di San Salvatore.

La struttura è pericolante. Le travi che reggono il tetto sono marce.

Parte della copertura è già crollata e in futuro il cedimento si potrà solo allargare.

Le lastre di marmo che rivestivano gli altari giacciono per terra cadute dal loro alloggiamento.

Il pavimento è screziato di escrementi animali.

La vista del più importante edificio religioso della città ridotto in queste condizioni lascia un certo sconforto in fondo all’anima.

Non ci siamo attardati oltre nella chiesa, giusto il tempo di qualche scatto per poi proseguire.

La vita ad Africo era dura.

Le cronache che ci giungono dal passato sono inappellabili e lasciano in bocca il sapore acre dell’amarezza.

Umberto Zenotti Bianco descriveva Africo nel periodo a cavallo fra la prima e la seconda guerra mondiale come un luogo dalle precarie condizioni igieniche e sociali.

Le abitazioni insistevano sui ruderi delle struttura abbattute dai tremendi terremoti del 1905 e 1908, non c’erano scuole o medici e l’isolamento geografico aveva generato una bolla intorno al paese ormai ridotto ad una enclave.

Ciononostante Zenotti Bianco si impegnò a fondo per Africo e grazie alla sua dedizione si giunse all’edificazione della scuola elementare.

Purtroppo anche la scuola oggi è un rudere.

La fine di Africo giunse nell’ottobre del 1951

Una violenta alluvione devastò Africo e Casalinuovo.

Ci furono vittime e ingenti danni alle abitazioni tant’è che le autorità non poterono far altro che dichiarare l’evacuazione.

La gente, sradicata dalla propria terra, fu prima accolta a Bova e poi nel Comune di Bianco dove venne fondato Africo Nuovo.

Quale sorte è riservata ora ad Africo Vecchio?

Visitato ormai solo da pochi escursionisti, scomparirà inghiottito dalla folta vegetazione e si sgretolerà sotto i colpi lenti ed incessanti degli agenti atmosferici.

Qualsiasi proposta di recupero è pretenziosa: ci sono altre priorità, si dirà; d’altronde sono solo quattro pietre, si dirà.

Gli unici che proveranno dispiacere saranno le persone che un tempo abitavano queste case e i loro figli.

È questa l’onta maggiore per Africo Vecchio: l’indifferenza in cui sta annegando…

Articolo a cura di Giovanni Speranza

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Author: Maria Cristina Condello

Maria Cristina Condello ha conseguito la laurea Magistrale in "Informazione, Editoria e Giornalismo" presso L'Università degli Studi Roma Tre. Nel 2015 ha conseguito il Master di Secondo Livello in "Sviluppo Applicazioni Web, Mobile e Social Media". Dal 2016 è Direttore Responsabile della testata giornalistica ntacalabria.it

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