Lo Svimez, l’autonomia differenziata, la Calabria: Brunetta e il PSI

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Sono costretto purtroppo, mio malgrado, a ritornare sul tema autonomia differenziata. In soldoni da quando è stata approvata la legge sembra quasi si sia trovata la panacea, la soluzione finalmente scoperta di una grande equazione irrisolvibile che è la questione Meridionale. Pare che l’onda di euforia economica e politica abbia contagiato tutti. Tutti tranne uno, che ha sollevato le giuste riserve una volta preso atto dell’amara realtà: ovvero il Presidente della Regione Calabria, On.le Occhiuto, che con grande coraggio è stato critico, sulle pagine del Corriere della Sera. Gli va riconosciuto merito e coraggio. Mentre dagli oppositori della legge, in più di qualche sito internet si consuma, una cosa ancora più volgare, si diffondono i nomi dei parlamentari del Sud responsabili di aver votato la riforma. Una cosa che non sa di responsabilità, ma che comunque lascia il gusto amaro di una cosa che sa tanto di lista di proscrizione, da cui mi dissocio. Politicamente scorretta anche in virtù del fatto che i parlamentari esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. Lo dice la Costituzione, che non può valere per alcuni e meno per altri. Sarebbe corretto che il cittadino da solo si informasse dei propri delegati e che nessuno additasse i responsabili, sa tanto di una malcelata accusa di tradimento.

E’ poco moderata, poco riformista, poco liberale. Lo dico caso mai le cose dovessero degenerare economicamente e socialmente per le regioni meno ricche. Il rischio volente o nolenti è purtroppo quello. Quello che preoccupa è invece la ventata di cieco ottimismo con cui ognuno ad ogni piè sospinto gioisce di questo “tortone” giuridico economico. Spiego meglio perché. Intanto nell’economia di mercato come in quella pubblica sappiamo che l’ottimismo non è eterno. Keynes docet. L’economia di mercato crea crescita, crea gettito, che deve redistribuito dagli organi statali competenti. Più le regioni crescono dal punto di vista dell’iniziativa privata, più si riscuote gettito, ammesso che la sede fiscale ove è ubicata l’impresa riguardi in questo caso la regione di riferimento. Ma l’economia di mercato non è la gallina dalle uova d’oro che crea crescita costante, è ciclica. A fasi di espansione seguono fasi di stagnazioni. Gli effetti e le conseguenze di queste due fasi sono a lungo termine. Può capitare infatti che una breve fase di crescita generi nel tempo fasi di lungo benessere e il contrario che fasi di recessioni brevi siano forieri di lunghi o lunghissimi anni di ripresa. In tutte queste fasi dovrebbe esserci il volano dello Stato che come sappiamo da qualche tempo non può dare sterzate illimitate, visti i deficit debito/pil e patti di stabilità nonché i pareggi di bilancio. Di fatto le sterzate non possono essere brusche ma brevi e calibrate, e questo dilunga l’intervento degli enti pubblici ( che dovrebbe essere tempestivo e invece ora deve essere centellinato, ammesso che non ci sia la sancta manus dell’Europa come durante la pandemia), e nei casi di recessione ne ritarda la ripresa nel tempo. Non parliamo se quel volano di spesa pubblica, magari non è più dello Stato, ma è della Regione.

E’ un esempio e mi auguro che lo Stato comunque qualora una regione andasse in deficit, intervenga al di là dei colori politici di riferimento. Cosa che sono sicuro farà. Ma certamente se si tratta di responsabilizzare la macchina amministrativa sentenzierà, prima di attingere con potestà di spesa e intervento, il il suo parere autorevole agli enti decentrati, i quali, audito il parere saranno costretti a trovare le ricette. Ritorna il tema dei diritti fondamentali. Un diritto fondamentale come quello allo studio può mai attendere pareri, vincolanti o meno dell’organo supreme, e trovare in via surrogata le ricette alternative alle prime errate e non efficienti riferimento prima che lo Stato trovi l’elargizione in tema di Lep? Un lep può avere decorrenzie di termini amministrativi se si guarda ai diritti fondamentali? Lascio su questo punto la risposta ai lettori. Invece, leggo che prima della riforma la Calabria pare essere stata in crescita. Sono i dati dello Svimez 2022-2023, l’associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, che ha già bacchettato la legge. Secondo lo Svimez l’intero Meridione è cresciuto del 1,3% con velocità di +0,9% rispetto al resto del paese. Ovvero cresce ed è più tempestivo. Merito forse di una classe dirigente che con coraggio è rimasta ed è forse più giovane e più navigata anche se ha, specie nella gioventù, contratti a termine. E’ l’intellighenzia giovanile che ha deciso di rimanere precaria, perché non spinta dal bisogno, ovvero i figli del superstite ceto medio a due stipendi e con proprietà e risparmi. Questo è bene dirlo, senza infingimenti. Gli altri figli del ceto medio monoreddito, o delle classi lavoratrici di prestazione d’opera e delle piccole e medie imprese agricole ahimè sono partiti spinti dalla necessità. Altre regioni beneficiano dei loro titotli di studio, quindi non hanno solo il gettito hanno il capitale professionale e umano amministrativo. E’ bene dire anche questo. Alla crescita hanno giovato anche i fondi Pnrr, le spese statali post covid e gli aiuti regionali e degli enti minori. L’unica cosa che non viene detta è la cieca fiducia che una regione ricca sia sempiternamente immortale e non vada mai in recessione. Pura illusione. Basta in niente nella moderna economia e tutto si avvita. Lo abbiamo visto con l’epidemia appena trascora, e con la bolla finanziaria internazionale del 2008.

Se si avvitassero le economie locali, col sud che spingendo a trovare servizi di cui le rispettive regioni non soddisfano la domanda cosa accadrebbe? Accadrebbe la divulgazione delle strane teorie populiste, che ognuno ad esempio deve curarsi a casa propria, che tutta il Meridione nella Sanità del Nord purtroppo non ci sta e non può starci per un problema di risorsa. Insomma accadrebbe all’interno del paese quello che accade in Europa col flusso dei migranti. Ogni regione ritornerà a dividere i richiedenti servizi per quote. Solo che in sanità è diritto del singolo curarsi o studiare dove meglio crede. Diritto Incontrovertibile e insindacabile. Non è razzismo, sono numeri, una utenza in più e una spesa. E come fai fronte alla spesa di uno se l’uno non partecipa al gettito. Semplice. L’uno paga le spese anticipando e poi la regione di riferimento storna, o il contrario l’uno si cura e la regione d’origine paga il debito. In definitiva il malato diventa merce di scambio tra regioni! Roba da far impallidire Marx nella frase l’uomo non è una merce. Cosa che in parte già accade, ma accade senza problemi, perché l’uno meridionale che si cura nella struttura x del nord paga, o dovrebbe, allo Stato e agli enti di riferimento con le addizionali.

Se la regione ospitante fosse florida allora nulla quaetio, esisterebbe un debito tra regioni, ma se la regione ospitante fosse in crisi? Se La regione di partenza dell’uno non garantisse il servizio perché non ha gettito sufficiente, e al quella di destinazione fosse magari in recessione, quale sarebbe la soluzione? Succederebbe che la prima regione sarebbe gravata da un debito e la seconda vanterebbe un credito. Ma così come gli stati non si possono indebitare illimitatamente nemmeno le regioni possono farlo. Le regioni oltre all’esempio testè avrebbero moltissime funzioni a cui provvedere per competenza territoriale che è anche competenza di bilancio e di casso. Se lo Stato intervenisse in extrema ratio a fare da garante, chi pagherebbe gli interessi sul debito pubblico? Tutti i cittadini o solo le regioni di riferimento?. Ancora una volta le regioni del sud sarebbero in debito. Ma peggio ancora, se sia le regioni del Nord e quelle del sud fossero deficitate? Significa che gli interessi del debito pubblico -che oggi viene spalmato tra italiani e loro generazioni- andrebbero forse equamente divisi ma in maniera proporzionale alle regioni. In proprorzione a cosa? In proporzione ai cittadini di quelle regioni.

Chi lo dirà ai cittadini della Campania che devono pagare gli interessi sul debito in proporzione al loro numero per i servizi che non sono riusciti ad avere in casa loro ma anche per quelli che hanno ricevuto in un’altra regione ospitante e in crisi compartecipando assieme ai cittadini di quest’ultima la cui economia si è stagnata? Chi le stabilisce le quote? Un pastrocchio economico di cui sinceramente spero di avere errato in analisi economica e mi auguro di essere smentito presto, non essendo io economista ma sollevando solo il legittimo dubbio.

Ha tuttavia pensato a spiegare bene le cose l’onorevole Brunetta, lo ha fatto ieri dalle pagine online del “Il riformista”, preso anche lui dall’euforia della nuova legge-panecea e come presidente del Cnel. Ci ha pensato non solo lui, ma anche mi spiace dirlo l’opinione diffusa di molti compagni socialisti, che animati non si sa come da una specie di spirito meridionalista, antiburocratista, meritocratico e antibaronale hanno accolto la riforma come se da domani il sud avrà magicamente una classe dirigente diversa. Secondo me non sarà così anzi sarà peggio. Solo ora ci si accorge che vi è un problema di classe dirigente? Ce ne rendiamo conto ora sui motivi fiscali? Fino a ieri cosa si è fatto? Si è taciuto, e perché? Perché c’era papà stato. Da domani si tacerà ancora di più perché ci sarà mamma regione. Non è che da domani un barone burocrate viene destituito solo perché vi è l’autonomia differenziata, quello resta lì e lì rimane. Così e se vi pare, salvo altre cose. Ma non ci sarà nessun pogrom, né il sud diventerà la terra degli onesti, sarà se mai la terra dei più poveri. Partendo proprio dell’onorevole Brunetta, egli sostiene che il Sud in questi anni sia regredito. Lo sostiene suffragando l’ipotesi che le aree più produttive del paese hanno contribuito a finanziare i territori più svantaggiati. Il gioco è stato a somma negativa a detta sua. La stessa AFRICA è cresciuta più del Mezzoggiorno. L’articolo prosegue e individua la crescita economica italiana nella era produttiva del Nord Italia, che ha ora un nuovo triangolo industriale, non più Milano, Genova, Torino bensì Milano, Bologna, Treviso.

Questo triangolo che dal Nord-Ovest si è spostato a Nord-Est esporta secondo Brunetta il 70 % delle esportazioni, è prodotto lì. Il restante 30% export deduco per esclusione sia centro e sud, ma non si dice in quali proporzioni, tuttavia egli cita i dati Istat 2022 e 2023. Hanno fatto il 70% delle esportazioni persino con i prezzi dei container navali lievitati tantissimo.
Peccato si dimentichi di dire che mentre il Nord esporta in Stati Stabili, che sono europei, e quindi l’export ha meno costi, e ha più velocità di infrastrutture, il sud sia al centro del Mediterraneo senza cantieristica Navale, con il Nord Africa instabile per la primavere arabe, e che ha alle spalle, la Turchia che non è in Ue per problemi di diritti umani e democratici e, la Grecia economicamente in ginocchio nonchè gli stati slavi in fase di consolidamento. Cosa facciamo per ingrandire il nostro export? Soluzioni zero ovviamente. Non solo, il sud esporta in agricoltura, non cita l’acquisizione di olio tunisino voluto dalla Ue, per consentire al governo di Tunisi di crescere, e infischiandosene di quelle calabrese, dell’epidemia di xylella e della siccità che sta flaggellando “purtroppo” la sicilia. Ha ragione però in una cosa quella che io ho sempre definito l’ “economia della bicicletta” il Nord produce e il Sud Consuma. E’ vero, è una economia che andava bene finchè c’è stata possibilità di fare debito pubblico, e assistenzialismo. Mentre io in Calabria però posso consumare una birra prodotta nel Biellese nell’isolato aspromonte, non capisco perché nell’isolato borgo della bassa padana io non trovi un dissetante al bergamotto. Anche su questo si tace, come si aiuta una impresa del Sud a esportare Brunetta non ce lo dice. Poi si spende nel dire le differenze, il Nord per renderlo efficiente va sburocratizzato, in pieno stile neoliberale, il Sud invece ha bisogno di un New Deal Keynesiano. Bene, benissimo, ci siamo, è la differenza che passa tra un modello di stato liberale puro, e un modello di stato da terza via. Sotto sotto ha detto la verità due macroregioni con due impostazioni economiche diverse. Chiedo di prestare attenzione su questo punto perché è un punto economicamente e socialmente drammatico. Storicamente cita il contributo della Cassa del Mezzoggiorno, che ha contribuito moltissimo, si dimentica di dire, che una cassa per il Mezzoggiorno non ci sarà più semplicemente perché non possiamo più fare debiti. Chi la creerà la cassa per il Mezzoggiorno. Molto semplicemente la dovranno creare per fare fronte le regioni Meridionali da sole. Ma con quale autorità e competenza? Sarà possibile? La farà nascere lo stato forse e poi le regioni la finanzieranno?

La verità è che vi è troppo ottimismo in questa riforma. Se le cose andranno bene come si augura Brunetta allora risorgeremo. Ma se andassero male? Se andassero male ecco quello che si delinea. Ovvero la sciagura di avere un Nord liberista e un Sud che spinto dalla necessità, se le cose andassero male, dovrebbe richiedere lui la sovranità statale. Ovvero se la riforma fallisse, la secessione paradossalmente la dovrebbe chiedere il Sud e ripartire come stato. La mia è una visione distopica, e spero tanto che non accada, ma il rischio è alto, altissimo, forse troppo. Lo stesso presidente Cnel ha paventato sopra due diverse economie Von hayek al Nord e keynes al sud. Mi auguro che tra molti anni la mia visione pessimistica e distopica venga smentita e e che economicamente vi sia un sud in crescita ben inserito nella Nazione e pinamente italiano. Ultima cosa. Brunetta non si spende nella riflessione ultima del reddito di un Meridionale al Nord. I redditi dei Meridionali al Nord, almeno quelli che vogliono ritornare ai luoghi di origine, sono spesi in consumi. Al sud sarebbero spesi in consumi di prodotti Nord-Sud e Reinvestiti nelle proprietà anche questo è Keynes.

Tornando ai socialisti, lo era anche Brunetta, che ora ha trovato la medicina che non ebbero i meridionalisti, è ora che si apra un dibattito. Un confronto. Questa riforma non libererà il sud né dalla Corruzione che è il vero problema, il problema persisterà essendo la questione dei baroni amministrativi solo secondaria, né rivoluzionerà la classe dirigente. Anzi sarà peggio perché la corruzione sarà più sapientemente orchestrata, i baroni saranno baroni con margine di spesa pubblica, la classe dirigente non cambierà perché non la faranno cambiare e le stazioni saranno sempre piene all’andata e sempre più vuoti al ritorni. Non si facciano illusioni i sostenitori di questa sbandierata teoria, né comunque pendano dal mio pessimismo e dalla mia visione distopica.

di DOMENICO PRINCIPATO PSI

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Author: Redazione Notizie