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Per un’analisi socialista e dire no in maniera vigorosa e democratica al d.d.l sull’autonomia differenziata
In queste ore, inizierà la discussione presso la Camera Dei Deputati, il disegno di legge Calderoli, il cui testo era stato approvato lo scorso 24 Gennaio nell’aula del Senato. In quella seduta, non lo scrivo per scena retorica, parte dell’opposizione protestò cantando l’Inno di Mameli, segno che forse per la prima volta dai tempi di Mazzini qualcosa non sembrava essere andata perfettamente nel modo di pensare l’omogeneità territoriale dello Stato e della sua cittadinanza. E probabilmente, ma non lo dico solo io, potrebbero essere messi in discussione i mezzi finanziari con cui si raggiunge l’uguaglianza tra cittadini all’interno del territorio nazionale, compresi i suoi surrogati territoriali, così come previsto dalla nostra Carta Fondamentale. Cosa prevede il disegno di legge Calderoli? Vediamo subito. Ebbene ai sensi dell’articolo 3 comma del d.d.l 165/2024 per come emendato dal Senato prevede che :
“Nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, i LEP sono determinati nelle materie o negli ambiti di materie seguenti: a) norme generali sull’istruzione;b) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali;c) tutela e sicurezza del lavoro;d) istruzione e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi f) tutela della salute;g) alimentazione;h) ordinamento sportivo;i) governo del territorio l) porti e aeroporti civili m) grandi reti di trasporto e dinavigazione;n) ordinamento della comunicazione o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.”
Orbene, sotto questo profilo, la premier Meloni, si è Sentita di rassicurare tutti, confermando in conferenza stampa, che la stessa vorrebbe garantire i Lep, anche alle regioni che non li garantiscono, premiando invece le regioni più efficienti e virtuose che fanno richiesta d’autonomia. Bene.
Punto numero uno: i Lep sono talmente complessi e intrinsecamente dotati di molteplici fattori, che ci è possibile determinarli in una materia come l’efficienza amministrativa ad esempio, ma non in un’altra molto più complessa come la tutela della salute. A parte che sulla efficienza amministrativa vorrei capire come cittadino, come si garantisce un Lep in materia di norme generali sull’ istruzione a quei cittadini di comuni montani o loro frazioni montane di basso basso reddito con l’accorpamento amministrativo dei plessi già avvenuto, per cui per trovare una segreteria che comprende più plessi, molto probabilmente avremo degli impiegati che fanno impallidire Stachanov che evaderanno le istanze ammesso che fondi vi siano a sufficienza, e qui i LEP erano stati previsti già prima con apposito decreto legislativo, si badi però che non sono materia competenza Parlamentare ma di governo e parliamo di diritti!. In materia di sanità invece la cosa si complica ancora di più tanto è vero che i LEP in questione sono anche tecnici e la cui definizione appartiene per competenza al governo tramite Decreto legislativo, ancora in fieri, abbiamo i LEA. Però prima facciamo l’autonomia differenziata a matrice economica, e solo dopo pensiamo ai Lep, ovvero come comprare un vestito rosa al nascituro di cui ancora disconosciamo il sesso. Ora se i LEP in alcune materie sono stati già previsti che ragione cruciale vi è di intervenire finanziariamente a premio delle regioni virtuose? Che poi ci sarebbe anche da vedere e capire del perché una regione sia virtuosa.
In materia di pubblica istruzione i Lep vi sono anche in Calabria, solo che ora ci viene detto, provate a vedere se li raggiungete da soli. E questo premio, è frutto di un accordo Stato-Regione interessata all’autonomia, come se se quella regione fosse dotata di un potere di andare in trattativa economica con lo Stato. E le regioni che non hanno questo potere ?
Non fanno parte di questo Stato? I loro cittadini sono esclusi? Se una regione non è abbastanza forte finanziariamente da chiedere l’autonomia differenziata cosa fa? Questo non ci viene detto, né ci vengono rassicurazioni nonostante vi sia un principio di sussidiarietà e di ugugalianza tra cittadini. In pratica succede questo. Le regioni finanziariamente più solide, dotate di maggiore gettito da esazione fiscale, avrebbero una specie di privilegio economico ad accordi con lo Stato, cui ne discenderebbe la facoltà di avere maggiore possibilità di spesa del proprio gettito, contribuendo meno alla perequazione, e così avendo nel proprio territorio opportunità di garantire maggiori e diversi servizi, con tanto di politica economica anche speculativa, dunque maggiore crescita e di conseguenza maggiore possibilità per i propri cittadini rispetto ai cittadini di un’altra regione con minori potenzialità di bilancio. Queste ultime, si ritroverebbero a vivere all’interno del medesimo territorio nazionale, uno status da “regione terzomondista” per quelle più povere, e uno status da “regione in via di sviluppo” per la classe di mezzo. Ritrovandosi nella condizione di elemosinare allo Stato i finanziamenti perequativi per i Lep qualora, non li raggiungessero da soli, col danno, politico ( e si spera non finanziario) di far pesare sulle singole regioni non virtuose la responsabilità degli interessi del debito pubblico.
Etica non voglia che mai una forza politica si alzi in parlamento e dica, è colpa del sud! La ratio propedeutica sarebbe questa ingaggiando una concorrenza con le regioni più virtuose sulle spesa, le altre regioni meno fortunate sarebbero incentivate, a essere finalmente responsabili attraverso politiche economiche sane attraverso finanze e equilibrate ,ovvero bilanci e manovre finanziarie che inevitabilmente saranno davvero “lacrime e sangue” per poter infine chiedere al governo una propria autonomia di spesa sul gettito regionale incassato dai propri cittadini, che non è detto ottengano in caso di governi diametralmente opposti. Insomma il meccanismo è un po’ come quello di Maastricht, sistema i conti e entri in Europa, sistema i conti e spendi. L’ala di governo che ha proposto il disegno di legge di maggioranza, ha giustificato il tutto dicendo che la classe politica del meridione dovrebbe responsabilizzarsi di più come governance e come classe dirigente.
Il che è vero, è un dato, ma solo in parte. Sicuramente è scorretto il mezzo, che è sibillino, per non dire pretenzioso, o capestro. Pare una maldestra giustificazione politica, per dare un contentino governativo alla Lega, quando c’era Berlusconi almeno gliela concedeva a fine legislatura, qui l’hanno pretesa da subito, significa che in casa Lega hanno imparato a giocare d’anticipo almeno all’interno della coalizione. Un privilegio da gettito fiscale alle regioni più ricche del Nord che però non tiene conto dei fattori economici e storici e giuridici per cui quelle regioni sono più ricche in introiti da esazione. E non tiene conto di come il Sud possa responsabilizzarsi e rilanciare la propria economia senza essere accompagnato dalla politica economica dello Stato . Soprattutto non tiene conto che quei pochi spiccioli di spesa che resteranno al Sud non consentiranno di chiedere a breve l’autonomia, ma quand’anche fossero spesi in virtù di rilancio della crescita non farebbero altro che far scattare fenomeni corruttivi ancora peggiori della prima repubblica e a vantaggio di pochissime caste sociali che abbiano riserve abnormi di capitali e influenze non indifferenti. Insomma abbiamo il pericolo dei faccendieri politici.
La verità è che il Sud non è finanziariamente pronto a una svolta simile, non lo è nei propri bilanci, non lo è con la propria classe dirigente e non lo è nemmeno con la classe produttiva più facoltosa, che tutto sembra tranne che neutra politicamente e soprattutto votata alla sviluppo, e che è in grado di condizionare l’economia propria ma non quella della regione. Tutto questo a detrimento per l’ennesima volta delle classi meno abbienti del sud più onesto e più volenteroso. In parole povere le già vane speranze per costoro di prendere l’ascensore sociale verrebbero vanificate del tutto, rimarrebbero solo tante parole messe in fila nella Costituzione resa un fantasma formale senza più corpo concreto sui diritti fondamentali. Questi sono i rischi e le derive sociali che il paese correrebbe in caso di varo della riforma. Detto in parole spicciole, passeremmo dal diritto alla restanza alla diaspora ennesima della “spartenza” ammesso che per il futuro qualcuno non voglia un piano occupazionale differenziato, dove si verrebbe assunti lì dove si elegge domicilio fiscale. Stando così le cose, l’equilibrio tra conti e cittadini e spesa lo farebbero le leggi dell’economia con domanda e offerta. Ma a quale prezzo? Al prezzo del darwinismo economico, ove si conosce il prezzo di tutto e il valore umano di niente. In materia sanitaria le cose si complicherebbero ulteriormente, rimando all’ultima sintesi del Rapporto Svimez 2023 ove si legge questo riporto per intero dal capito 7.1: “Da un punto di vista finanziario, la mobilità sanitaria interregionale viene distinta in mobilità attiva (una voce di credito per le regioni di destinazione dei pazienti) e mobilità passiva (una voce di debito per quelle di provenienza). Dall’analisi della mobilità attiva e passiva emerge la forte capacità attrattiva delle regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle regioni del Centro-Sud (con l’eccezione della Toscana). Tra il 2010 e il 2019 (periodo corrispondente al riparto del FSN per gli anni dal 2012 al 2021), tredici Regioni, principalmente del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro, mentre tre dei primi quattro posti per saldo positivo sono occupati dalle Regioni del Nord che hanno attivato le procedure per l’autonomia differenziata: Lombardia (6,2 miliardi di euro), Emilia-Romagna (3,3 miliardi), Toscana (1,3 miliardi), Veneto (1,1 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-2,94 miliardi), Calabria (-2,71 miliardi)”. Rapporto 2023, in tempi non sospetti. Non a caso si parla di “Secessione dei ricchi”, di “Balcanizzazione Italica” e non posso fare altro che condividere le parole di Natale Cuccurese che dalle pagine on line de il Partito del Sud scrive quanto segue : “l’approvazione definitiva del ddl Calderoli sul regionalismo predatorio e discriminatorio dei diritti disattesi e dimidiati dei cittadini italiani che risiedono al Sud. Si tratterebbe di una data periodizzante della storia della sedicente Repubblica democratica italiana già ampiamente divisa e diseguale, in quanto, a ratifica di tali divisioni e disparità, i principi di unità, indivisibilità, uguaglianza, solidarietà, equità e coesione verrebbero sostituiti dai principi diamentralmente opposti
di divisione, egoismo, razzismo, classismo e discriminazione territoriale. Insomma, la riscrittura eversiva del patto nazionale di solidarietà del ’48 nei termini della cultura politica etno-liberista incentrata sull’agitazione di una sedicente questione settentrionale, che, dalla seconda metà degli anni ’90 in poi, è divenuta egemonica in Italia ed è stata fatta proprio anche da sedicenti partiti di sinistra, il Pd, che, nell’allora veste elettorale dei Ds, varò la sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione nel tentativo, poi fallito, di accaparasi i voti del Nord” (articolo pubblicato da il Vesuviano News a firma del giornalista Salvatore Lucchese)
Dal canto mio non posso fare altro che condividere in toto l’analisi della costituzionalista Giovanna Di Minico docente di diritto costituzionale presso la Federico II di Napoli, la cui relazione troverete per un approfondimento giuridico proprio sul sito della camera dei deputati alla Pagina Affari Costituzionali. Tra l’altro la stessa paventa un pericolo sulla competenza al risanamento degli interessi del debito pubblico che in caso di cattive interpretazioni normative del testo aprirebbe un falla al default dell’intera nazione, con non si sa a quali livelli di Spread. Teoria su cui vale la pena di riflettere Molto e Bene. Unitamente alla Di Minico sulle stessa pagina istituzionale della Camera, si trova la relazione economica del professore Carrieri docente di Scienze delle Finanze presso l’UNI.CAL, ove dal punto di vista economico anche lui avanza delle riserve. Vale la pena vagliare i documenti che riporto.
Vengo alla chiosa, come P.S.I. Creare una scissione tra regioni patrizie e regioni plebee significa creare un vulnus alla unità sociale della Nazione, che difficilmente sarebbe recuperabile con una controriforma. Per la prima volta i diritti costituzionalmente garantiti su tutto il territorio potrebbero essere devitalizzati alla radice, che è il potere perequativo dello Stato. Una soluzione che riporta le lancette della storia ancora prima della rivoluzione francese e alle sue conquiste. Invito pertanto tutti i cittadini a riflettere sul progetto di riforma che si sta discutendo in queste ore in Parlamento, e colgo l’occasione di rinnovo alla chiamata ai meridionalisti tutti e ai progressisti. Non si faccia passare l’ennesima occasione di una definitiva eutanasia del Meridione Italiano, che va si responsabilizzato, ma non fino al punto di mettere in gioco i diritti dei cittadini. Sono già attivi i comitati per il No alla autonomia differenzia, e in queste ore l’associazione Carte In regola, ha diffuso sul proprio sito on line un testo pdf in cui tutti si possono documentare sui rischi della riforma. A dispetto di chi chiama le emigrazioni “coesione sociale” e non partenze, e piuttosto che aiutare il Sud ne fa espatriare il capitale umano, l’informazione è d’obbligo. E’ d’obbligo anche in materia di tutela della salute, è bastato l’annuncio della costruzione dell’ospedale di Palmi che subito Polistena ha temuto la chiusura del proprio. Desideriamo invece una sanità efficiente, attiva e partecipe sul territorio, potenziando i plessi che si possono potenziare senza per questo sopprimerli e tutelando i professionisti che vi operano e si impegnano quotidianamente. Come socialista è un dovere difendere l’unità della nazione e i diritti dei cittadini di questa Repubblica, che per la prima volta nella storia vedranno messi in pericolo finanziario quelli alle cure e all’istruzione. Ragione per la quale si chiami i cittadini in assemblea dei comitati dei No, in ogni comune nel caso in cui questa riforma scellerata venga promulgata, rimanendo fiduciosi nell’unico garante istituzionale della Costituzione il Presidente della Repubblica on.le Sergio Mattarella.
di Domenico Principato -PSI-
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