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È ormai quasi certo che la tarantella calabrese risale ai tempi della Magna Grecia: sono numerose le testimonianze che sembrano attestarlo.
Prime tra tutte: alcune antiche anfore elleniche, che raffigurano personaggi che danzano, danno effettivamente la sensazione che lo stiamo facendo a ritmo di tarantella. Per non parlare dei suonatori riportati in diverse altre anfore: personaggi alle prese con lire e tamburelli di pelle di capra e con certi flauti che sembrano anticipare di parecchi secoli le Pipite calabresi: strumenti ancora oggi in uso nella nostra Regione.
Punto secondo: l’appellativo di Tarantella (in passato attribuito a una danza, forse medievale, che simulava le convulsioni dopo il morso di una tarantola) potrebbe derivare invece dai movimenti dell’uomo durante l’uso della rete con la quale i nostri antenati greci pescavano da riva (chiamata, appunto, la tarantella); e che includeva, durante l’esercizio delle sue funzioni, gli stessi movimenti fisici del tradizionale ballo.
Punto terzo: nelle decorazioni di alcune altre anfore si può notare come le danzatrici, guidate dal cosiddetto “mastru i ballu” che impugna il tradizionale bastone (usanza ancora in atto nel nostro territorio), tengono le mani ben salde ai fianchi come per simulare il ricavato che le donne greche, tornando a casa dopo la pesca, erano solite portate su specifichi contenitori di terracotta che trasportavano in testa, dopo essersi collocate un drappo sulla stessa: tecnica ancora in uso in alcuni centri aspromontani.
Anfora raffigurante presumibilmente il cosiddetto “Mastru i ballu”
E quindi alla domanda:
“Potrebbero essere davvero queste le origini della nostra tarantella?”
A noi piace rispondere di sì! Soprattutto perché darebbe voce a questa nuova specifica teoria che fa risalire, appunto, le origini della nostra tarantella a quei popoli che hanno contribuito, in un tempo assai remoto, a rendere grande la nostra Nazione.
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