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di Alfred Breitman – Gruppo EveryOne
Il federalismo è uno degli obiettivi principali delle mafie, perché la divisione dei poteri fra le regioni consentirebbe alla struttura delle organizzazioni criminali di mettere le mani agevolmente sulle risorse locali, sfruttando la capacità malavitosa di controllare il territorio e le connivenze presso istituzioni politiche e autorità.
Questo è uno dei punti in cui si articola la denuncia di Saviano, contro cui è insorto il ministro degli Interni, sostenuto successivamente da alcuni politici e media di destra. I detrattori dello scrittore e attivista antimafia rivendicano un “diritto di replica” in riferimento alle dichiarazioni che Saviano ha effettuato nel corso della trasmissione “Vieni via con me”, riassunte nella seguente frase: “La ’Ndrangheta cerca il potere della politica e al Nord, come dimostra l’inchiesta, interloquisce con la Lega”.
Si può comprendere lo sconcerto dei leghisti, ma più che replicare ad affermazioni suffragate da documenti e testimonianze, ci si chiede se non sarebbe più opportuno mettere a nudo gli scheletri che si nascondono negli armadi lumbard per iniziare, anche se tardivamente, ad affrontare in modo concreto ed efficace il grave problema delle mafie che si sono impadronite del nord Italia, ramificandosi all’interno della politica, dell’economia, delle istituzioni. Bisogna replicare al crimine, non a chi lo combatte!
Riguardo alle connessioni fra mafie, regioni del nord e partiti politici, si tratta di un nodo critico e negarlo significherebbe assegnare a ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita una vittoria a tavolino, consegnando quello che resta ancora di democratico, costituzionale e libero dello Stato italiano – senza distinzioni fra nord a sud – a ‘ndrine, cosche e logge.
Procedendo a ritroso, verso le sorgenti del fenomeno, possiamo accedere ai documenti riguardanti l’indagine Phoney Money del 1996, che rivelò in modo organico una serie di connessioni fra organizzazioni illegali e politica. Il pubblico ministero David Monti, cui furono legate le mani nel frangente, dichiarò con amarezza al settimanale Panorama che “a quindici anni dalla scoperta della loggia P2, i poteri occulti sono vivi e vegeti e sono loro ad organizzare, se non veri e propri complotti, pericolose interferenze, per esempio riuscendo a bloccare inchieste considerate scomode”. In quell’indagine emerse il ruolo di faccendieri come Gianmario Ferramonti, arrestato perché ritenuto il cervello di una truffa internazionale. Ferramonti era già stato amministratore della Pontida Fin., società finanziaria della Lega Nord ed esponente dello stesso partito fin dal 1991, oltre che collaboratore del professor Gianfranco Miglio – esponente nonché ideologo della Lega – e protagonista di una struttura articolata formata da relazioni fra servizi segreti italiani e internazionali, massoneria e altri poteri occulti. Il pentito di mafia Leonardo Messina descrisse una rete di rapporti fra la Lega Nord, in particolare il professor Miglio, e la P2. Non va dimenticato che la struttura massonica rappresentata da Licio Gelli aveva contatti con tutte le organizzazioni criminali: mafia, camorra, ‘ndrangheta, come risulta dalle inchieste giudiziarie sul finto rapimento di Sindona, sul caso Cirillo, sulla strage del rapido 904, sull’omicidio di Roberto Calvi ecc.
Ferramonti era in rapporti con i massimi esponenti della Lega Nord e con i massoni siciliani, fra cui i fondatori della Lega Meridionale. E’ inoltre risultato in rapporti con personaggi vicini alla criminalità organizzata, soprattutto la ‘Ndrangheta.
Ferramonti si vantava di aver dato un contributo determinante all’accordo di Forza Italia con AN e con la Lega per le elezioni del 1994. Ha organizzato inoltre – come hanno confermato gli altri partecipanti – l’incontro in un hotel di Roma per decidere l’assegnazione del Ministero dell’Interno alla Lega, prima della formazione del Governo Berlusconi del ‘94. Vi presero parte, oltre a Ferramonti, il Capo della Polizia Vincenzo Parisi, il faccendiere italo-americano Enzo De Chiara, Umberto Bossi e Roberto Maroni, che poi ebbe il ministero.
Nel procedimento penale legato al movimento Sicilia Libera, il collaboratore di giustizia Tullio Cannella testimoniò i rapporti fra il nuovo progetto politico e le sue relazioni con Cosa Nostra. Cannella rivelò che il movimento nacque per volontà del corleonese Leoluca Bagarella. Bagarella fondò il partito perché era deluso da politici che in precedenza “si erano presi i voti e non avevano mantenuto le promesse”. Sicilia Libera faceva parte di un piano mirato alla separazione della Sicilia dal resto d’Italia, per assicurare a Cosa Nostra il controllo della regione, anche in sede politica. Cannella era stato fra i principali organizzatori del movimento, che aveva l’appoggio di Giovanni Brusca, dei fratelli Graviano e di altri boss. Nel 1994 però Bagarella disse a Cannella che il partito da sostenere alle elezioni del ’94 doveva essere Forza Italia. Il Presidente di Sicilia Libera Edoardo La Bua divenne quindi responsabile di un club palermitano di Forza Italia. I rapporti fra i protagonisti di Sicilia Libera e Forza Italia sono attestati dalle agende sequestrate a dell’Utri e dalle dichiarazioni dei pentiti, così come le finalità mafiose di Sicilia Libera. Nell’atto costitutivo del partito era definito uno degli obiettivi principali: “pervenire alla realizzazione di piccoli Stati, dotati di ampia autonomia, riuniti in uno Stato federale”. Lo stesso Orsini (interlocutore di Cannella, esponente della Lega Nord e quindi della sua articolazione romana, Lega Italia Federale) ammetterà di aver ben compreso i fini criminali del raggruppamento, dichiarando di essersene allontanato proprio di fronte a tale scoperta.
Anche le indagini del D.I.A. hanno rilevato le relazioni fra Cosa Nostra e i movimenti federalisti del sud Italia, riuniti nel progetto di una Lega dei Meridionali, in rapporti di apparente competizione con la Lega di Bossi, ma di fatto sinergici nel comune progetto di dividere l’Italia e attuare il federalismo. Secondo Cannella “sin dal 1990-91 c’era un interesse di Cosa Nostra a creare movimenti separatisti; erano sorti in tutto il Sud movimenti con varie denominazioni, ma tutti con ispirazioni e finalità separatiste. Questi movimenti avevano una contrapposizione ‘di facciata’ con la Lega nord, ma nella sostanza ne condividevano gli obiettivi. Successivamente, sorse a Catania il movimento Sicilia Libera e in altri luoghi del sud movimenti analoghi.
Tutte queste iniziative nascevano dalla volontà di Cosa nostra di ‘punire i politici una volta amici’, preparando il terreno a movimenti politici che prevedessero il coinvolgimento diretto di uomini della criminalità organizzata o, meglio, legati alla criminalità, ma ‘presentabili'”. E’ evidente che con tale passato e tanti contatti da parte di suoi esponenti di spicco con individui legati a poteri occulti, la Lega Nord dovrebbe oggi evitare di nascondere la testa sotto la sabbia, per analizzare con attenzione la propria struttura e le proprie finalità, accertando che il movimento non sia ancora soggetto ad infiltrazioni e convergenze pericolose.
Sarebbe inutile allontanare il problema affermando che sono passati tanti anni e oggi la Lega Nord è “il partito degli onesti”, perché il pericolo è sempre dietro l’angolo, come dimostra per esempio il procedimento penale di cui è apparsa notizia sui quotidiani del 13 luglio 2010:
“Decine di politici locali di comuni dell’hinterland milanese, molti dei quali leghisti, tra cui un manipolo di sindaci e numerosi assessori e consiglieri locali sono indagati a Milano, a vario titolo, per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, finanche concorso in estorsione.
Era la scorsa primavera e la procura di Reggio stava da tempo intercettando i vertici della ‘Ndrangheta durante riunioni in alta montagna. Ed è così emerso che numerosissimi appalti edili per opere pubbliche, eseguiti o da eseguire in Lombardia, venivano decisi in Calabria da un organismo finora semi-sconosciuto della mafia reggina: la cosiddetta “Provincia”, quasi una cupola di Cosa Nostra, che si è scoperto avere ordinato anche una serie di omicidi commessi nel capoluogo lombardo come quello del boss Carmelo Novella, ucciso a luglio 2008, per impedire ai capi della ‘ndrangheta a Milano di organizzare autonomamente una propria “provincia” in Lombardia. L’aspetto sconvolgente di entrambe le due inchieste è il grado di infiltrazione della ‘ndrangheta nell’economia lumbard”. Angela Camuso, L’Unità, 13 luglio 2010.
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