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Sessanta anni fa, l’11 giugno 1956, moriva a Roma Corrado Alvaro, per la recrudescenza del male tumorale di cui soffriva da tempo. Lasciava un’opera imponente e, in parte, ancora incompiuta; e scompariva proprio nella fase in cui sentiva di poter dare il meglio di sé, dando una veste definitiva e organica al suo lungo e poliedrico percorso. Le Opere complete, che aveva cominciato a pubblicare da Bompiani, rimasero interrotte o ebbero un’edizione approssimativa, priva di rigore filologico, spesso perpetrando un tradimento dell’autore, come nel caso delle Memorie del mondo sommerso; né diversa è stata purtroppo la sorte di gran parte delle sue carte autografe, disperse o tenute in stato di prigionia, contro la volontà degli eredi legittimi e malgrado gli sforzi profusi in tal senso dalla Fondazione a lui intitolata.
Ma oggi più che mai la Calabria saluta nel suo interprete d’eccezione l’unico grande classico della sua letteratura novecentesca. Conosciuto soprattutto, nei decenni passati, per la sua narrativa ambientata nel mondo arcaico e feudale di una regione confitta nel proprio passato, e dunque per un ‘esotismo’ che ha rappresentato anche la fortuna mondiale di Grazia Deledda, Alvaro appare – nella odierna prospettiva critica – un grande autore calabrese, italiano, europeo. Ed europeo proprio perché ha saputo congiungere con felicità di esiti espressivi e conoscitivi l’ispirazione regionalistica e l’investigazione della modernità; un intellettuale di respiro globale, quale poche volte la storia letteraria della Calabria ha potuto annoverare.
Grande elzevirista, ha disseminato i suoi articoli nelle terze pagine dei maggiori quotidiani italiani; è stato poeta innovativo e romanziere di respiro europeo (L’uomo nel labirinto; Il mare; L’uomo è forte); maestro assoluto, nel primo Novecento, della narrazione breve (un titolo su tutti: i Settantacinque racconti) ; e, inoltre, diarista (Quasi una vita, per molti il suo capolavoro) ed autore di teatro (Lunga notte di Medea è la tragedia più alta del Novecento italiano), sceneggiatore cinematografico e fine traduttore e saggista di rilevanza assoluta, anche in virtù di una esperienza cosmopolita che lo portò a vivere a Parigi ed a Berlino ed a visitare, da inviato speciale, paesi ed entità antropologiche lontane, con esperienze dalle quali scaturiscono i suo libri di viaggio, un aspetto non trascurabile della sua opera.
Una figura, dunque, di grande complessità, data l’ampiezza degli orizzonti culturali ed ispirativi, che congiungono magicamente il microcosmo della Calabria – il paese dell’anima che funge da sostrato a tutto il suo itinerario di scrittore – e la realtà europea, in cui ambiva innestarsi, ma senza cancellare l’identità storico-culturale dei padri. Sicché nell’opera di Alvaro si raggruma e si esalta l’immagine stessa della Calabria, riproposta nella grandezza della sua storia culturale e nella sua fermentante forza di irradiazione, poiché in essa confluisce tutta una linea di tradizione culturale e di civiltà, dalle radici magnogreche a Gioacchino da Fiore, da Campanella a Padula.
Ecco perché, nel mondo, Alvaro è il simbolo stesso della Calabria; e non a caso i suoi libri sono tradotti in ventuno lingue. Opportunamente, quest’anno, è stato intitolato nel suo nome il Palazzo della Provincia di Reggio Calabria. Ci si augura che la Regione sappia comprendere e valorizzare l’incidenza di questa il-lustre figura, come in altre realtà viene fatto, e per autori di ben minore rilevanza. La Fondazione Alvaro ha fatto miracoli, in passato, malgrado la progressiva diminuzione (e poi la totale cancellazione) dei fondi a essa destinati; e certamente il presidente Oliverio e l’assessore Roccisano non saranno insensibili al grido di dolore che si leva da San Luca in occasione di questa ricorrenza.
È prevista una edizione speciale del premio Alvaro; alcuni libri di critica letteraria su Alvaro so-no pronti per la stampa; un restyling del sito web della Fondazione è in progetto, così come un importante seminario di studi. In attesa che la Regione determini quante delle iniziative in cantiere possano essere prodotte, in occasione di questo sessagesimo, una notizia importante è che la Bompiani ha deciso di rilanciare l’opera alvariana: il primo volume, in uscita a ottobre, sarà la riedizione di Vent’anni, il più bel romanzo italiano che sia stato scritto sulla Grande Guerra.
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