Capire “La portata storica e mediterranea del ponte”

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leggiamo e riportiamo una nota inviata

Il tanto atteso Ponte sullo Stretto di Messina, un gioiello della tecnica ingegneristica che potrebbe vedere la luce tra circa sette anni, meriterebbe intelligenti meditazioni e non disprezzo pretestuoso e sconclusionato. Dato per scontato che il Ponte rispetterà le risorse paesaggistiche e ambientali dello Stretto e che resisterà a scosse sismiche anche di intensità pari a quelle che, il 28 dicembre 1908, hanno raso al suolo le due belle città di Reggio e Messina, proviamo a riflettere sui suoi aspetti positivi evidenziando l’interesse sulle sue enormi potenzialità.

Un primo aspetto da sottolineare è la natura di un investimento che, nel Mezzogiorno e nella stessa Area dello Stretto, rompe con gli inutili investimenti a pioggia degli anni ’70, che hanno generato corruzione ed inefficienze, aprendo una fase nuova con effetti trainanti sull’intera economia. Questo obiettivo era stato affidato ai fondi europei che si sono rivelati, purtroppo, un totale fiasco progettuale, un altro grande veicolo di corruzione e l’ennesimo insuccesso volto a determinare la ‘rottura’ di cui aveva ed ha bisogno l’intero Mezzogiorno d’Italia.

Si lega a questo primo aspetto la seconda riflessione. Lo scarto infrastrutturale del Sud nei confronti del Paese è francamente enorme e, a dire il vero, anche l’Italia soffre un gap di questa natura con il resto del continente europeo. Gli indicatori elaborati dal World Economic Forum sul ritardo infrastrutturale complessivo dell’Italia, infatti, “classificano” l’Italia al 72° posto in una graduatoria di 134 paesi. La dotazione in strade, ferrovie, porti e l’offerta elettrica non è paragonabile a quella esistente in Germania o in Francia. La stessa Spagna, che accusava ritardi trentennali, è oggi al 28° posto in graduatoria! E chiaro che il sud presenta una situazione più critica registrando una sottodotazione di infrastrutture di trasporto sia quantitativa che qualitativa. Senza un elettrochoc, e il Ponte ha anche questa funzione, il sud non avvierà mai un virtuoso processo di crescita.

La dotazione infrastrutturale è poi indispensabile per il turismo. Tra il 2008 e il 2009 si è sofferto per un calo delle presenze (italiane e non) in Calabria e in Sicilia con riverberi sul terreno occupazionale e, quindi, sul Pil delle due regioni già abbastanza ridotti con il loro 12% di provenienza turistica a fronte di un Pil della vicina Malta che registra un apporto del 34% dallo stesso settore. “Avvicinare” le due regioni al dato maltese, con la crescita occupazionale nel settore turistico, si rivelerebbe in tutta la sua portata positiva. A livello europeo quasi l’80% dei viaggi con l’Alta Velocità avviene per motivi di “svago” e, per buon senso, l’Alta Velocità estesa alle più “lontane” province siciliane genererebbe nuovi flussi di traffico turistico dando fiato ad una vera stagione dell’industria del turismo, un settore che potrebbe finalmente rivelare le sue potenzialità moltiplicative e trasversali sulla formazione del Pil e del lavoro.

Gli “arrivi” turistici a livello mondiale, nel 2008, sono stati pari a 924 milioni e si stima possano salire a 1600 milioni nel 2020. Un minimo di buon senso porta ad affermare che basterebbe intercettare anche una piccola parte di questa crescita per “rivoluzionare” le due regioni. Già il manufatto è elemento di attrattiva turistica e con l’Alta Velocità diventerebbe più ‘visitabile’ della stessa Torre Eiffel o dei famosi ponti newyorkesi o londinesi.  A dire il vero, il Ponte sarà sinergicamente valorizzato con gli altri magici tesori paesaggistici, artistici, storici e culturali della Calabria e della Sicilia e “sedurrebbe” milioni di turisti garantendo un nuovo turismo di benessere e ricchezza.

Una quarta prospettiva meritevole di attenzione è che la costruzione del Ponte metterà in moto una mole di lavoro con benefici diretti ed indiretti sin da subito. Decine di migliaia di persone, da manovali ad eccellenze di qualità e, nel medio e lungo periodo, rafforzerà la cultura d’impresa. Il Ponte sarà, per forza di cose, non solo funzionale al turismo, ma anche agli imprenditori, ai pochi che già operano in Sicilia e Calabria e ai tanti, nuovi italiani e stranieri, che potrebbero finalmente decidere di investire da noi utilizzando le nuove infrastrutture e mettendo a profitto la posizione geografica decisamente interessante perché al centro del Mediterraneo.

Una rete moderna ed efficiente di infrastrutture, di linee ferroviarie ad alta velocità, di più vie del mare, di porti adeguatamente ristrutturati, di aeroporti più dinamici e aperti ai flussi turistici, e di ogni altra forma di comunicazione internet veloce, tutto ciò abbasserebbe gli attuali costi di trasporto dando maggiore competitività al sud che diventerebbe, così, una vera “cerniera” tra l’Europa e il Nord Africa, un collante tra due realtà che avranno nei prossimi decenni un ruolo strategico nell’economia mondiale. Il Mezzogiorno diventerà, giocoforza, una piattaforma logistica di immenso interesse per l’intera Europa.

Le motivazioni favorevoli al Ponte sono, quindi, molteplici e forti. Il no al Ponte è, invece, un atteggiamento “subalterno” a logiche contrarie al vero sviluppo, che sconfina in una sorta di antimeridionalismo. La classe politica “pensante” deve avere ben chiaro che le polemiche in corso cresceranno fino a diventare rumorose perché l’organizzazione che vi ruota attorno ha l’interesse ad appellarsi ad inutili ampollosità, a furbesche manipolazioni delle relazioni economiche, ad irresponsabili catastrofismi.

In qualsiasi altro Paese del mondo il Ponte sarebbe già realtà da tantissimi decenni, ma l’Italia sconta troppe lentezze burocratiche, molte indecisioni politiche, tantissima speculazione culturale. Per un rilancio economico delle due regioni, anche in chiave mediterranea, diciamo sì al Ponte.

Bruno SERGI* – Giovanni ALVARO

*prof. Economia Internazionale

Università di Messina

Reggio Calabria 11.01.2010

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1 thought on “Capire “La portata storica e mediterranea del ponte”

  1. Grandi opere, fumo negli occhi
    Nel libro “Il ponte sullo stretto” di Carlo Mancosu, sotto le mentite spoglie di un tomo tecnico, si disvela la lettura politica di un’epoca in cui apparenza e proclami incidono più della realtà.

    Il ponte sullo stretto
    Aut. Carlo Mancosu
    Ed. Mancosu Editore
    Pag. 288
    ISBN-13: 9788896589007
    Data pubbl. 15 marzo 2010

    di Furio Colombo.
    Accade che un testo rigorosamente tecnico e fondato sulla competenza e pratica scientifica diventi manifesto politico o almeno documento politico di un’epoca. È accaduto con il volume di interventi e documenti appena pubblicato “Il Ponte sullo Stretto. Rischi, dubbi, danni e verità nascoste” a cura di Carlo Mancosu, che ne è anche l’editore.

    Il protagonista di questa serie di intenenti è la grande opera. O meglio è indispensabile rivedere, ai nostri giorni, il concetto ambiguo e glorioso di grande opera per ambientare il libro di cui sto parlando. Esiste una sorta di convenzioni non dette. Quando si dice grande opera (nel linguaggio delle opere pubbliche) si intende una serie più o meno scoperta, più o meno percepita dall’opinione pubblica, di significati fra cui si potrà scegliere nei vari contesti di annuncio, di raccomandazione, di celebrazione preventiva. Un primo significato riguarda la novità del progetto. Il progetto è grande perché prima d’ora, senza l’ideazione ma anche l’audacia e la capacità di impresa, un’opera così non avrebbe potuto esistere.

    In questa fase interviene un certo tecnicismo e l’impegno a superare le obiezioni in quanto generate (le obiezioni) da visioni superate, da vecchia cultura. Quest’opera è grande perché ora siamo tecnicamente in grado di farla e l’omissione sarebbe un delitto e un vuoto imperdonabile.

    Un secondo significato è la spesa. Il fatto che la spesa sia immensa è, allo stesso tempo. una garanzia dell’assoluta novità e audacia dell’opera, del polso e visione che ha un governo che se ne assume la responsabilità. E la prova ultima che il governo delle grandi opere “sta facendo bene”. Poiché, anche in periodo di euforia, le grandi cifre spaventano, occorre creare due contesti che evitino sbandate di opinione pubblica.

    Il primo è che il finanziamento sarà privato o in parte privato. La parola è magica e bisogna dirla anche se non è vera e non si materializzerà mai. Il secondo è la pioggia di incredibili benefici che l’opera genererà e che cambierà il volto del Paese che realizza la grande opera, sia sul luogo sia lontano, nel mondo.

    Infine, l’argomento più caro ai venditori di grandi opere: creano lavoro.
    Circoleranno numeri capaci di fronteggiare (psicologicamente se non economicamente) l’impatto del costo immenso di cui si sta discutendo.

    Tutto ciò è, per esempio, il Ponte sullo Stretto di Messina. Di esso, per anni, il governo Berlusconi ha dato una rappresentazione intensa e ripetuta di simulazione similvera al computer. Corrono treni superveloci su un ponte più lungo e più alto di ogni ponte al mondo. E nel percorso stretto di questo trailer immaginato dovrebbero disciogliersi tutte le obiezioni.

    Per promuovere un’opera gigantesca dai costi incerti (per difetto) e che continua a restare appoggiata senza prove e verifiche su un ambiente naturale che è il più instabile al mondo (la questione sismica, la questione delle frane) Berlusconi si è ricordato delle tecniche di vendita dell’imprenditore edile (Milano 2) e presenta “un appartamento modello”. La grazia cinematografica e sconnessa dalla realtà di questo modello dovrebbe liquidare, anzi prevenire, le cupe obiezioni del malaugurio. Facile se le obiezioni sono politiche. Meno facile se sono una raccolta fitta, motivata, rigorosamente documentata del lavoro di esperti.

    È il libro “Il ponte sullo stretto”. Una grande giuria di esperti, che non discute di politica, non guarda al tipo di governo che esige la grande opera come estremo tributo a se stesso, come macchina operativa destinata ad essere punto di partenza di mille articolazioni capaci di coinvolgere tutti, dal grande appalto al piccolo indotto al privilegio del posto di lavoro.

    Questa giuria, riunita da Carlo Mancosu, per dare vita al libro documentato sul ponte, parte dai punti di terra in cui dovrebbero essere piantati, con un lavoro di generazioni, i pilastri. E ritorna alla terra che dovrebbe sostenere l’immensa opera finita e beneficiarne. Scarta ogni visione che non sia tecnica e ingegneristica, evita di pensar male (la pianta rampicante del crimine organizzato) e di pensar bene (la gloria dell’opera, la meraviglia del mondo).

    E si presenta come una grande obiezione di coscienza di coloro che sanno verso un’opera pensata per il teatro della politica piuttosto che per la realtà fisica in cui dovrebbe collocarsi il gigante. In altre parole, niente in questo libro inchiesta sul “ponte sullo stretto” è ispirato a pregiudizio o a polemica politica. Il lavoro parte da ciò che gli autori dell’appartamento modello (del ponte-modello) ti fanno sapere, dai loro annunci e preannunci, per procedere a una ispezione della realtà.

    Il verdetto della competente e specialistica giuria sul simil-ponte-grande-opera-di-regime, non affronta l’idea di un ponte, ma di questo ponte, al modo in cui è stato concepito e diffuso l’irrealistico pensiero-propaganda di esso. Non dice che tutti i ponti sullo Stretto sono impossibili, fermo restando l’estrema difficoltà dell’opera – dice che “questo ponte non c’è e non ci sarà”.

    E sarà bene tenersi cara la perfetta simulazione fatta circolare in luogo di un progetto vero (inclusa ancora e ancora come finto documento in innumerevoli telegiornali) per un bel film di fantascienza.

    Meglio: di fantapolitica.

    Nel libro “Il ponte sullo stretto” di Carlo Mancosu, sotto le mentite spoglie di un tomo tecnico, si disvela la lettura politica di un’epoca in cui apparenza e proclami incidono più della realtà.

    Furio Colombo.

    Fonte: “Il Fatto Quotidiano” del 18 maggio 2010

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