Sfida antropologica e teoria Gender in Manif Pour Tous

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In una sala stracolma di gente, circa 500 partecipanti, venerdì 30 gennaio, presso la sala don Orione, si è tenuto il convegno “Teoria gender e la sfida antropologica”, organizzato dal circolo locale de La Manif Pour Tous insieme ad altre realtà sociali tra cui, Associazione Italiana Genitori, Associazione Medici Cattolici Italiani, Associazione Nazionale Famiglie Numerose, Circolo Voglio La Mamma, Consultorio Familiare “Pasquale Raffa”, Forum delle Associazioni Familiari. Ad animare il dibattito sono intervenuti il dottore Daniele Torri, medico bioeticista di “Scienze&Vita”, e l’avvocato Gianfranco Amato, presidente nazionale “Giuristi per la Vita”.

Il compito di spiegare questa teoria gender è stato affidato al dottor Torri, il quale, attraverso l’uso di slide ha tracciato una ricerca di senso tra dati scientifici e dinamiche relazionali sull’ identità sessuale. Si è partiti da una domanda: maschio e femmina sono una realtà oggettiva o una libera scelta? La risposta, dice Torri “è contenuta nella realtà biologica della specie umana; nasciamo tutti o maschi o femmine a seconda dei cromosomi. Ma la teoria gender nega questa realtà sostituendo il concetto naturale di “sesso” con quello culturale e fluido di “genere”, ovvero con la percezione e la determinazione che ognuno ha di sé stesso, tra l’altro continuamente modificabile tra settantasette generi diversi. Una teoria smentita da diverse ricerche scientifiche, tra le quali lo studio del professor Richard Lippa dell’università della California, in collaborazione con la BBC”. In questa ricerca sono state raccolte duecentomila risposte in cinquantatré Paesi differenti fra Europa, Americhe, Africa ed Asia. Alla domanda su quale mestiere preferissero svolgere, nel confronto delle risposte dei vari Paesi, emerge che le donne preferiscono lavori di tipo relazionale, come l’infermiera, mentre gli uomini preferiscono mestieri di tipo materiale, come l’ingegnere. Se la cultura fosse davvero un fattore influente nella scelta del proprio sesso, invece, si sarebbe dovuto avere un cambiamento di risposte da Paese a Paese, da cultura a cultura. Cade, così, il concetto di stereotipo di genere, maschio e femmina non sono il risultato di un’imposizione della società, ma dati di natura. La teoria gender non riesce quindi ad imporsi nel mondo scientifico ed a trovare validità. Per affermarsi allora ha intrapreso altre strade descritte dall’avvocato Amato, il quale inizia affermando che “in Italia oggi si sta costruendo l’impalcatura di una micidiale propaganda ideologica: l’omofobia”. Un’affermazione forte che spiega nel momento in cui domanda al pubblico che cos’è l’omofobia e non trova risposta alcuna. Di fatto, non esiste una definizione di omofobia né in campo medico-scientifico, né in campo giuridico. Eppure, con la legge Scalfarotto, per la prima volta nell’ordinamento italiano si sta introducendo un reato, quello di omofobia, senza definirne il presupposto, con la duplice conseguenza che ciò che sarà punita sarà soltanto l’opinione, sulla base di ciò che sarà percepito come omofobo dalla (presunta) vittima e che il comportamento contestato sarà sottoposto alla valutazione soggettiva del giudice che dovrà autonomamente riempire di contenuti il concetto di omofobia arbitrariamente. A ciò si aggiunga il parallelismo fatto dall’avvocato a quanto diversi anni fa si verificava in Unione sovietica, allorquando si veniva arrestati anche per la semplice supposizione o percezione di attività antisovietica. Ancora oggi, chiarisce il presidente dei “Giuristi per la Vita”, a distanza di più di venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino non si conosce il contenuto nè il presupposto del reato di attività antisovietica, per il quale in tantissimi venivano arrestati e deportati nei gulag. Secondo Amato, ad oggi esiste solo una definizione di omofobia, quella rinvenibile nei libretti “Educare alla diversità” redatti dall’Unar, ente governativo, in cui Amato dice che “si traccia la il profilo dell’individuo omofobo secondo quattro criteri: primo, il grado di religiosità concorre a configurare il profilo di omofobo; secondo, credere ciecamente nei precetti religiosi della Chiesa è omofobia; terzo, sostenere che l’omosessualità è peccato è omofobia; quarto, sostenere che l’unica attività sessuale lecita è quella aperta alla vita cioè finalizzata alla procreazione è omofobia. Io quando ho letto questo roba mi sono detto, io sono un omofobo.”

L’intervento dell’avvocato Amato ha poi preso in considerazione il fenomeno della diffusione silenziosa e nascosta della teoria gender all’interno delle scuole, dalle elementari alle superiori, e degli asili, attraverso la diffusione di opuscoli e libretti dal “linguaggio da rivista pornografica” e la predisposizione di corsi di rieducazione a nuove forme di affettività, rivolti a studenti, insegnanti e personale. Tutto questo senza informare le famiglie, alle quali, secondo la Costituzione, nonché l’articolo 26 della Carta internazionale dei diritti dell’infante, spetta la priorità nell’educazione dei figli. È stato, quindi, messo in evidenza il tentativo di trasformare le scuole in campi di concentramento culturale, attraverso la colonizzazione feroce delle menti e delle coscienze dei bambini, per il tramite della strategia nazionale per combattere l’omofobia che rappresenta un cavallo di trova per introdurre la teoria gender attraverso diversi strumenti. Tra questi strumenti Amato cita l’invito rivolto ai bambini di scegliere la propria identità di genere, la visione della masturbazione infantile come strumento educativo e la presentazione di nuovi modelli familiari composti da più individui dello stesso sesso completamente intercambiabili nel corso del tempo. In particolare sono usate come strumento pedagogico favole per bambini che nel racconto decostruiscono la realtà della famiglia naturale, negando la maternità, sostituita dalla pratica dell’utero in affitto. Si cerca di insegnare, così, ai bambini che un figlio non nasce dall’unione di un uomo e una donna ma dal desiderio di due persone che si recano in una clinica e comprano il bimbo creato in provetta. La pratica dell’utero in affitto, secondo l’avvocato Amato, in particolare, colpisce indirettamente i bimbi che nascono e direttamente quelle donne che vivono nei Paesi in via di sviluppo in gravi condizioni socio-economiche e che sono messe nelle condizioni di vendere il proprio corpo, per pochi soldi, rischiando tragiche conseguenze psicologiche o anche la propria vita, a seguito dei trattamenti fortemente invasivi a cui sono sottoposte.

L’intervento si è concluso con un lunghissimo applauso da parte della platea, rivolto ai relatori e all’organizzazione dell’evento.

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Author: francesca

autore e collaboratore di ntacalabria.it

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