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Dai dati emersi dal Rapporto Swimez sull’economia del Mezzogiorno per il 2014, la Calabria si conferma la Regione più povera d’Italia con un Pil pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro. Nico D’Ascola, candidato a presidente della Regione Calabria per Alternativa Popolare, il raggruppamento che vede insieme Ncd e Udc alle prossime elezioni regionali interviene sull’argomento: “Sono dati dimostrativi di una realtà che si percepisce andando in giro per le strade e conoscendo la società. Il problema più drammatico è quello della disoccupazione giovanile, ma anche correlativamente della emigrazione intellettuale che determinerà il vero impoverimento della Calabria. Da questo punto di vista non si può attendere. Le difficoltà riguardano il mantenimento di un contesto sociale accettabile, perché la povertà quando diventa drammatica, può determinare rischi di natura diversa e fortemente preoccupanti rispetto a quelli che non sono già i gravi problemi dell’economia”.
Sulle possibili soluzioni, D’Ascola evidenzia: “Bisogna sottolineare che nessuno ha la bacchetta magica, soprattutto chi dovrà intervenire dopo tanti anni di trascuratezza rispetto a tali problemi. Credo che vadano attivate le risorse già disponibili, quali ad esempio l’incentivazione dell’agricoltura. Il comparto dell’agricoltura può costituire una delle leve da utilizzare per risolvere i problemi. Contestualmente ho sempre visto nello sviluppo dei mestieri, delle attività artigianali, uno sblocco alternativo al posto fisso nella pubblica amministrazione, ossia alle scelte deplorevoli che ci hanno portato ad una condizione di esubero di spesa pubblica con una redditività estremamente bassa e con soluzioni non più praticabili. Ciò che afferma il premier Renzi costituisce la constatazione di una realtà che avevamo già percepito ed evidenziato ancora prima, imponeva di scaricare sulle attività private quello che prima era sostanzialmente assistenzialismo e un lavoro dipendente dalla pubblica amministrazione, dalle caratteristiche conosciute, rendeva poco, non richiedeva nulla, un patto scellerato tra lo Stato e i privati, era sostanzialmente una redistribuzione del reddito del tutto parassitaria”.
Sulle strutture che potrebbero essere utilizzare per la formazione, Nico D’Ascola argomenta: “Una storica istituzione come il C.I.A.P.I, un centro di avviamento delle attività professionali, una struttura di grandi dimensioni, dotata di attrezzature che nel corso degli anni sono state danneggiate e disperse, è impensabile che sia stata abbondonata. Si tratta di una vera sottrazione di bene pubblici, rispetto a quella che era la dotazione del C.I.AP.I allorquando è stato costituito, si constaterebbe non solo la dilapidazione delle risorse economiche, ma anche la chiusura di una struttura che potrebbe essere una fonte di attività lavorativa, attraverso l’insegnamento di mestieri e di attività. Tutto questo insieme al comparto dell’agricoltura potrebbe essere una delle leve da azionare in tempi ragionevolmente brevi, sfruttando le strutture già esistenti, ovviamente attrezzandole e facendole amministrare a soggetti capaci. Dobbiamo riscoprire quello che avveniva negli anni ’60. Dare competenze a soggetti veramente capaci e non a fiduciari di determinati contesti politici. Soggetti responsabili che amino il lavoro, l’insegnamento, la formazione dei giovani per dare loro una prospettiva di lavoro seria”.
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