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Siamo alle solite. Alla vigilia delle elezioni spunta sempre qualche campione di turno che indirettamente ci dice che la Calabria è buona, bella ed efficiente. Naturalmente è tutto merito suo e di chi, presso la Regione, lo ha sostenuto. E’ il turno dei Trematerra e degli Scopelliti che, tramite il Sig. Pizzi, ci ricordano con parole roboanti che il settore del bergamotto vive “in uno scenario in forte evoluzione” e “si aprono prospettive straordinarie in chiave economica e occupazionale”. Che vuol dire? Vuol dire, afferma sempre il Pizzi, che la commercializzazione dell’essenza va a gonfie vele, il succo di bergamotto pure, nuovi campi applicativi aprono scenari inediti. Quali sono i campi applicativi? Ma ovvio, la medicina! Purtroppo per il Sig. Pizzi, bisogna che qualcuno gli dica che le idee sono vecchie e stantie, come vecchie sono le strade che lui vorrebbe percorrere.
Che l’essenza sia una unicità del nostro territorio apprezzata in tutto il mondo lo si sapeva già da quando un certo Sig. Procopio ebbe l’intuito di offrirlo al Re di Francia, Luigi XIV. Siamo nel 1600. Da allora l’evoluzione non si è mai fermata e solo l’imbecillità dei locali potette più che il mercato, quello libero, quello illuminato. Nel settore della medicina, invece, il bergamotto fu apprezzato fin dal 1854 quando il dott. Vincenzo De Domenico scrisse il libro “Sulla virtù medicamentosa della essenza di bergamotto”, esaltandone le capacità antiinfiammatorie, antivirali, i vari benefici sulle febbri intermittenti e sulle affezioni verminose. Qualcuno (Prof. Pasquale Amato) annota che l’essenza del Principe degli agrumi aiutò la cultura da cui ebbe a derivarne anche il nome: difesa della pergamena (da cui il nome Berga Motta) e siamo nel 370 A.C..
L’attuale struttura regionale, disegnata come un abito sulla UNIONBERG, società di cui Pizzi si vanta di essere il presidente, si occupa di commercializzazione, ma il Sig. Pizzi si occupa anche di fissare il prezzo del prodotto, ma il Sig. Pizzi progetta anche il destino del bergamotto tramite il Consorzio, ma il sig. Pizzi, infine, risulta presidente della DOP. Orbene, non vi pare una struttura piramidale e un tantino egemonica? Tutto bene? No, direi, tutto sbagliato e spiego il motivo tramite un esempio abbastanza facile da capire. Il M5S è da tempo che contesta tale tipo di impostazione, giacché sulla pelle degli operatori del settore (i bergamotticoltori) si utilizzano indebitamente dei soldi che non sono privati ma pubblici, finalizzati però al servizio di pochi. Prendiamo ad esempio la ricerca, coronata da successo, sui benefici effetti del bergamotto sulla salute umana.
Tramite questa ricerca il Prof. Sindona, dell’Università di Cosenza, ha scoperto che l’utilizzo del prodotto comporta la guarigione dal colesterolo cattivo. Bene. Resta però il fatto che una simile ricerca è stata brevettata da una società privata. Se, come da tempo stiamo affermando, si fosse costituita non una piramide in mano a pochi, ma un Distretto avente soggettività giuridica, i benefici economici della ricerca si sarebbero riversati sullo stesso Distretto e, in definitiva, sul territorio del bergamotto. Si afferma che noi siamo solo buoni a vendere, non a trasformare per poi vendere. Qui ci siamo superati, siamo stati buoni a regalare un qualcosa che ci appartiene da sempre pur sapendo che i cittadini del Basso Ionio reggino hanno un bisogno storico di riscatto economico e formativo.
Oggi, per come stanno le cose, il settore del bergamotto è segmentato in categorie separate: coltivatori – trasformatori – commerciali. Non è una filiera giuridica, è caso mai una filiera naturale, dove vige la regola del predatore: chi è più forte vince. Nella filiera giuridica, viceversa, tutti contribuiscono – secondo le loro competenze – alla realizzazione di un progetto. Si stabiliscono delle priorità, ad esempio si riconosce che il territorio presenta delle unicità mondiali e si fa di tutto per evitare che venga deturpato, si stabiliscono delle regole di difesa del prodotto, ad esempio si vuole conoscere la quantità del prodotto per evitare che vi siano dei gesti criminali di concorrenza sleale e frode commerciale attraverso la falsificazione, si utilizza il prodotto per far conoscere il territorio nel mondo, ad esempio s’impone l’etichettatura nelle confezioni tipo: “prodotto a Reggio Calabria” e si rilancia quel territorio quale area protetta dalla certificazione di provenienza. Ma, si dirà, la DOP ha certamente aggiustato le cose, con la Denominazione di Origine Protetta tutto ciò è già presente! Ebbene no. La procedura della DOP, sempre in mano a Pizzi, si è rivelata una burla e come tale è inconsistente.
Basti pensare che una delle realtà di cui si è andati sempre fieri, alludo alla Stazione Sperimentale delle essenze di Reggio Calabria, è stata trasferita a Bologna, per cui oggi è quello il centro deputato a svolgere l’importante compito certificativo della conformità dell’essenza alla DOP. Insomma, con questi personaggi stiamo perdendo tempo e con loro il tempo passa invano senza che nulla cambi, tutto come ai tempi del 1800 quando il bergamotto veniva apprezzato in Europa, nell’epoca dei lumi, mentre in Calabria vigeva la baronia più becera. Appunto, nulla cambia, il territorio rimane privo di progettualità e, mentre il mondo intero chiede di conoscerlo, la migliore gioventù lo abbandona per mancanza di lavoro.
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