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Cari fratelli e sorelle, la Parola di Dio quest’oggi trasuda di consolazione e di speranza insieme. L’autore del terzo libro di Isaia, da cui oggi abbiamo ascoltato un brano, è chiamato dal Signore a ridare fiducia a un popolo che sta vivendo un momento di grande fatica religiosa e politica. Il profeta, l’unto dal Signore, è chiamato a dare respiro e speranza ad una comunità sfiduciata perché non ha risorse materiali, non ha diritto di parola, è privo di potere politico e contrattuale, è pressato dalle tasse, è ai margini del consesso sociale, ma sa di poter confidare nel Signore.
È una comunità dal cuore spezzato e fatica a ritrovare la sua profonda identità di popolo dell’Alleanza, interpellato da Dio a dare la sua risposta creativa e responsabile per rendere più vivibile i giorni della vita. Il profeta ha pertanto la missione di sollevare il popolo dalla frustrazione dell’impotenza di fronte a condizioni sociali tali da non poter pronunciare verbi al futuro, verbi che aprono alla speranza. Dov’è Dio in questa situazione? E da quale parte sta? La risposta è chiara: Dio è dalla parte dei miseri, di chi non ha parola, di chi non conta, e non lascia nella solitudine e nello smarrimento il suo popolo.
È un annuncio consolante che apre il cuore a un presente di giustizia sociale, ma che non può attuarsi senza una risposta attiva dei singoli membri del popolo che al momento mancano all’appello di Dio. Tra i credenti in cerca di consolazione, di un evento, di un qualcuno che possa mettere a posto le cose, è come smarrita la responsabilità personale. E allora la missione del profeta è quella di “costruire una comunità di giusti, graditi a Dio”. Ma la chiamata alla conversione urta contro non pochi ostacoli, non ultimo le ingiustizie che provocano divisione nel popolo e il disprezzo che serpeggia nella comunità verso gli stranieri”. Se da una parte il popolo invoca la fine delle ingiustizie e delle prevaricazioni che vengono dalle grandi potenze militari, commerciali e politiche del momento, dall’altra il profeta insiste che la giustizia e l’equità sia operata anzitutto nelle relazioni civili tra gli stessi credenti (cfr. Schokel-Diaz, I Profeti, 388.418).
In sostanza non ci si può attendere da Dio un intervento risolutore dall’esterno quando dall’interno non c’è alcuna voglia, nessun impegno a cambiare mentalità: non si può invocare giustizia dagli altri e, in modo particolare dai vari potentati o lobbisti del momento che regolano i giochi dell’economia e della politica sullo scacchiere del mondo, quando personalmente o insieme come popolo all’interno delle relazioni interpersonali non c’è ricerca sincera di concordia, di onestà, di collaborazione.
Se la speranza di un mondo migliore di fraternità è annunciata dal profeta sulla base della fedeltà di Dio alla sua promessa, la medesima speranza va tuttavia assunta, pensata, organizzata responsabilmente. Dio lavora con il suo popolo sulle basi dell’Alleanza: da parte sua il Si è per sempre, comunque vada, ma rimane un si, un dono gratuito sospeso se non c’è una pur minima risposta (respondeo) consapevolmente attiva da parte umana. Dio è il Dio dell’Alleanza e scommette sulla risposta creativa dei suoi fedeli perché il suo Regno di giustizia e di pace metta radici profonde nella storia. In tal senso le Beatitudini sono il programma di vita umana sognata da Dio e realizzate da Gesù: lui è il mite, il misericordioso, il costruttore di pace, l’afflitto, lui il piccolo-il povero che affida la sua sorte al Padre suo il quale a sua volta consegna al suo Figlio la concretizzazione del Regno e in Lui a tutti noi. È consolante sapere che il Dio di Gesù, il Dio dell’Alleanza, fidandosi di noi è dalla nostra parte e, prendendoci sul serio, non agisce senza il nostro consenso. Ma quando il sì umano è posto nella libertà della fede allora il Signore consola il suo popolo e compie grandi cose, così com’è accaduto in Maria e con tutti coloro che proclamandola beata per la sua fede creativa e responsabile, la imitano.
Anche la nostra città, il nostro territorio, cari fratelli e sorelle, ha bisogno di tanta consolazione. A fronte di tanti sforzi che si notano in ogni ambito, non ultimo la generosa accoglienza dei migranti, la città è come se vivesse un momento di rassegnazione, di fermo, di stand by, che mi pare duri da un po’. Tanti sono i motivi e alcuni vengono probabilmente da lontano. In non poche persone mi sembra di aver percepito il desiderio non espresso, ma inconsciamente invocato, di una nuova ripartenza, dopo una lenta decelerazione. Ciò nonostante non pochi germogli di tanta solidarietà e generoso impegno sono sbocciati in vari ambiti della vita cittadina.
La festa di Madonna esprime un forte senso di appartenenza e coesione, ma che non viene poi declinata in legame sociale e in cittadinanza attiva. Questo interpella la nostra fede e la nostra pastorale. E segnala, ad ogni modo, la fatica di superare una mentalità individualistica che si traduce in dinamiche di appartenenza a circuiti socio-culturali, politici e accademici, che faticano a convergere, con le rispettive energie e competenze, sui nodi essenziali da sciogliere per promuovere e rilanciare finalmente questa nostra città, affascinante sì, ma di una bellezza incompiuta e così stranamente attraente che si fa ricorso al passato glorioso, ad una civiltà celebrata da autori antichi, ma di cui però si sono come smarriti le coordinate culturali e sociali che hanno modellato la coscienza partecipativa e morale della civitas.
La festa di Maria, madre della consolazione, ci ricorda che nel nostro cammino non siamo soli: in Gesù, il Dio dell’Alleanza, non ci lascia soli in balia degli avvenimenti. Lui è sempre all’opera, ma necessita della nostra disponibilità sincera per attuare il suo piano salvifico com’è accaduto in modo singolare in Maria di Nazaret. La consolante presenza di Dio per noi è un appello perché anche noi possiamo consolare chi si trova in ogni genere di afflizione e di smarrimento, perché nessuno si trovi abbandonato nel cammino della vita. Quando si risponde all’invito di Dio tante energie solidali vengono poste in opera in questa città in termini sociali, culturali, amministrativi, ricreativi, politici.
Questa città ha visto testimoni sia credenti che laici di umanità bella, costruttiva, positiva. E tuttavia, nella nostra città c’è paura di fronte ad un presente che vede tanti giovani lasciare il nostro territorio e si percepisce un sentimento di inadeguatezza in noi adulti che abbiamo come smarrito il senso della promessa generativa che doni fiducia ai nostri ragazzi nel loro aprirsi al futuro. Qualcosa nell’alleanza tra adulti e nuove generazioni si è come ingrippato. Si avverte poi come un senso di sconcerto e anche di rabbia in una città collocata in un posto incantevole, ma che tarda a riqualificare quartieri e spazi metropolitani verdi e interni; una città che con le sue intelligenze e le competenze accademiche potrebbe puntare all’innovazione in campo turistico, agricolo, architettonico per la promozione dell’intero territorio, aprendo così alla speranza di un dignitoso lavoro per giovani e famiglie.
Che cosa blocca, dove il nodo? La domanda andrebbe articolata al plurale perché complessa è la realtà e le cause che generano rassegnazione. Credo però che l’individualismo declinato in autoreferenzialità di appartenenze sociali, culturali e politici in tutto questo giochi un ruolo non trascurabile. I problemi della città sono sostanzialmente comuni e non si possono affrontare come se appartenessero solo ad una parte.
L’individualismo che si esprime anche in noi credenti chiude la speranza alla possibilità della condivisione e non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli.
Pertanto, i cristiani non possono né essere schiacciati né, peggio, essere tra gli ingranaggi che bloccano la necessaria rigenerazione della città. La valenza profetica e consolante dell’impegno dei cristiani in politica, temprata nell’esercizio della sinodalità che stiamo vivendo come Chiesa locale, è invece un elemento essenziale e non rinunciabile per svegliare le coscienze e impegnarsi, insieme a chi è libero e forte (Sturzo), per costruire la città degli uomini, questa nostra Reggio e il suo comprensorio. Affermava Papa Francesco al congresso eucaristico di Firenze: «[La nazione] (diciamo…la città) non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose».
E se è vero, scriveva più avanti anche con riferimento alla stessa Chiesa, che è «inutile riproporre condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative», il coinvolgimento attivo che si auspica nel cammino sinodale ad intra, può rivelarsi un grande propulsore ad extra sul versante della cittadinanza attiva e dell’impegno diretto nella vita politica. Uno speciale invito a immergersi nell’ampio dialogo sociale e politico, nello stesso discorso, Francesco lo rivolge ai giovani, per diventare costruttori di futuro, per non “guardare dal balcone la vita”, ma impegnarsi invece per edificare una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento.
Ecco: chi oggi ha la responsabilità del governo della città e quanti nel futuro intendono scendere in campo per la sua guida, hanno la grande occasione di adoperarsi per far convergere le forze migliori sui temi fondamentali e impegnarsi sinceramente per il bene di tutti i cittadini. I problemi nodali della nostra città non si risolveranno infatti affrontandoli ideologicamente con uno sterile confronto bellicoso, o utilizzando fenomeni spinosi e complessi come la mancanza di lavoro, la sanità, l’immigrazione, la povertà, l’emorragia dei nostri giovani e il disagio dei nostri ragazzi e delle nostre famiglie, per scopi di puro consenso individuale o calcolo elettorale.
Mi chiedo quale idea di bene comune e di giustizia sociale possiamo condividere per avere una visione socio-politica di grande respiro per questo nostro territorio e per un comune destino di speranza? Non dico cose nuove se segnalo, come credente e cittadino, che di fronte all’attuale crisi potremmo convergere su temi come la sussidiarietà, la solidarietà, la pace, il contrasto alla mafia e l’educazione alla legalità, la partecipazione dei cittadini, il diritto alla salute, la cura della casa comune, il sano pluralismo democratico, la carta costituzionale. Insieme questi argomenti sono come una bussola sicura per orientare e ispirare scelte che vanno nella direzione del bene comune, che sarà tale se una città dal cuore grande si muove politicamente sull’equa distribuzione dei beni, compresa la cultura, sull’inclusione sociale dei più fragili e dei poveri: anche loro fanno parte della nostra società e dunque anche loro hanno diritti da essere tutelati.
Ai nostri amici amministratori, che ringrazio per il loro diuturno impegno insieme alle autorità civili e militari e accademiche, agli operatori della sanità e della comunicazione, ai nostri amministratori dunque e anche a coloro che aspirano a servire i cittadini del nostro comprensorio, mi permetto di chiedere di avere uno sguardo politico che vada oltre il contingente e si apra ad un orizzonte più ampio di grande respiro. A tal proposito papa Francesco nella sua Evangelii gaudium propone quattro principi (nn. 221-237) che provengono dalla dottrina sociale della chiesa e possono tornare utili come criteri per compiere scelte ponderate per la vita personale, ecclesiale, sociale e politica. Mi soffermo brevemente sul primo che recita: “il tempo è superiore allo spazio”.
Se il tempo parla di un orizzonte aperto verso il futuro, lo spazio evoca un limite che rimane in sé chiuso. Con questo principio il papa ci chiede di dare priorità alla costruzione di progetti a lunga scadenza e perciò mettere in moto dei processi che richiedono tempo per svilupparsi contro « l’ossessione dei risultati immediati – per – sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone […] Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti – pertanto aggiunge il papa – … Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi – tentando – di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione» (EG 223).
C’è poco o forse molto da commentare, ma a nessuno di voi sfugge la qualità della visione politica insita in questa provocazione del papa. La lascio alla vostra riflessione perché possiate farne tesoro nel vostro non facile e delicato compito di amministrare il bene comune e pubblico della nostra città.
E tuttavia, parafrasando le parole di papa Francesco in Fratelli tutti, in questa città, nonostante le ombre, dobbiamo riscontare non pochi “percorsi di speranza”. Nel territorio della nostra Arcidiocesi – “Dio continua a seminare semi di bene” (cfr. FT 54), vissuti e coltivati in uomini e donne che nel recente passato come nel presente sono al servizio degli altri in ogni settore della vita sociale, imprenditoriale, amministrativa, sanitaria, così come nell’ambito del volontariato, dell’ordine e della sicurezza pubblica il più delle volte non conosciuto né riconosciuto. Ebbene questi semi di bene alimentano «la speranza che sa guardare oltre la comodità personale» e spingono i nostri giovani ad «aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa» (cfr. FT 55).
Condividiamo allora quei valori, quelle prospettive di vita degna di essere chiamata umana per sentirci più comunità civile e solidale, sognando insieme e insieme lavorando nel presente pensando al futuro ormai dietro l’angolo dei nostri ragazzi.
Ecco, cari fratelli e sorelle, ci consoli nel nostro cammino dietro Gesù la vicinanza della beata Vergine Maria, donna forte e generosa, perché con la sua intercessione materna ci aiuti ad essere “una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa, sempre pronti a favorire nello spazio pubblico la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nella ricerca del bene comune (cfr. papa Francesco al V convegno nazionale della chiesa italiana – Firenze 2015).
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