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“Premesso che il mio primo pensiero va alle vittime della tragedia avvenuta ieri in Puglia e alle loro famiglie, ma anche ai ferrovieri che si trovano a lavorare in condizioni gravose, sollecitato da molti amici mi spingo a proporre alcune riflessioni su quanto accaduto, con l’idea di affermare il diritto dei viaggiatori, e della comunità nazionale più in generale, a che simili eventi non si abbiano mai più a verificare. Vi sono tre ordini di riflessioni, una di natura tecnica, una riferita al contesto calabrese, una di taglio sindacale-politico.
I) L’incidente avvenuto ad Andria probabilmente è legato ad un errore umano; su quella linea, in rapporto ad informazioni acquisite, vige un regime di circolazione chiuso (BAM – Blocco Elettrico Manuale a Consenso) ovvero un Blocco Telefonico della linea basato sul consenso telefonico che il capostazione di una stazione a valle deve dare prima che un treno sia instradato sulla tratta dal capostazione della stazione a monte; il via libera viene dato attraverso l’attivazione di appositi segnali attraverso dispositivi con manopole. Potrebbe dunque esserci stato un errore di distrazione fatale. Non è da escludere che i lavori di ammodernamento in linea possano aver determinato una situazione di degrado degli impianti e che altre concause si siano tragicamente aggiunte (ad esempio il ritardo di un convoglio che può aver fatto saltare l’esercizio ordinario con riflessi sulla percezione delle circolazioni da parte del personale). Ma vi è un errore umano di altra natura che va considerato: non può essere che nel 2016 esistano ancora in Italia regimi di circolazione di quel genere. E se ancora oggi vi sono linee con quel tipo di apparato, l’errore umano sta nella mancata programmazione e realizzazione di un regime di sicurezza più avanzato (BCA – Blocco Conta Assi, BAcc – Blocco Automatico a circuito di binario, BCR – Blocco Elettrico radio). Non è accettabile sostenere che quella è una linea privata; le condizioni di sicurezza vanno garantite dallo Stato ovunque allo stesso livello. In Italia ormai il blocco telefonico è in disuso quasi ovunque tranne che in qualche caso singolare (Sardegna, forse Sicilia); con un’aggravante: che in Puglia su quella maledetta linea circolano treni di ultima generazione a trazione elettrica, quindi si vive il paradosso di una linea elettrificata, peraltro molto frequentata, su cui sarebbe stata ben poca cosa passare ad un BAcc. Troppo spesso, purtroppo, si scoprono le situazioni critiche dopo incidenti gravi (vedi Crevalcore nel 2005, sulla linea Verona-Bologna, individuata come parte del Corridoio Europeo N.1 eppure all’epoca ancora a binario unico e su standard idi sicurezza non adeguati; o Macomer in Sardegna, nel 2007, che presenterebbe caratteristiche similari a quelle di Andria). Allora è d’obbligo richiedere al Governo nazionale la rimozione delle criticità che i tecnici e i vertici delle Ferrovie conoscono bene. L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie, istituita nel 2008 quale Ente indipendente, assuma compiti di vigilanza e di ispezione tecnica severa, e sia dotata di poteri di intervento nei confronti degli operatori ferroviari inadempienti o non in regola con gli standard prefissati.
II) In Calabria la situazione della sicurezza ferroviaria sembrerebbe migliore; in effetti i regimi di circolazione sono stati adeguati su standard più avanzati, ma non possiamo abbassare la guardia, anzi occorre fare ancora di più. La Calabria ha pagato già tributi molto alti: rammentiamo gli incidenti della Fiumarella (CZ) nel 1961 (71 morti e 27 feriti), di Eccellente nel 1980 (28 morti e 100 feriti), di Crotone nel 1989 (12 morti e 32 feriti) e numerose tragedie sfiorate (Gimigliano, Marzo 2014; Marcellinara, Novembre 2011; Ferruzzano, Novembre 2015; per citare le più recenti). La sicurezza non è però solo un fatto di apparati di controllo; vi sono altri aspetti che vanno monitorati. Ad esempio occorre garantire una adeguata manutenzione delle linee e delle opere di protezione, specialmente della linea ionica che denuncia stati di degrado evidenti (il binario sospeso di Ferruzzano è un caso emblematico); occorre arrestare la pratica del right sizing attivata da RFI che prevede la eliminazione di tronchi di binario in stazioni ritenute secondarie, perché tali operazioni si traducono in un depotenziamento della linea e in una riduzione dei margini di sicurezza per la collettività, checché ne dicano i tecnici di RFI o amministratori impreparati. Continuiamo a chiedere che siano ripristinati i binari rubati alla Calabria da parte di RFI (San Lorenzo, Roseto Capo Spulico, Crotone, Roccella Ionica) e che siano eliminate le ganasce che inibiscono il transito dei treni sul secondo binario in numerose stazioni colpite dal right sizing. E ancora, occorre adottare sistemi e tecnologie di rilevamento di eventi a rischio e comunicazione per la prevenzione (tipo GPS); ho assistito l’anno scorso all’incendio di sterpaglie a margine della linea ionica, con il fuoco che è giunto ad aggredire i cavi di rame scoperti (le canalette di cemento risultavano sconnesse e i cavi erano a vista) con conseguente rischio di degrado degli impianti di segnalamento.
Sulla Ionica abbiamo costituito da tempo una Rete di movimenti ed associazioni (ferrovia Ionica Bene Comune) nell’intento di sensibilizzare la comunità e rivendicare il rilancio su standard europei dei servizi. Decine di manifestazioni si sono susseguite negli anni, focalizzate su una petizione on-line articolata in 10 punti indirizzata al Ministro dei Trasporti e al Governatore della Regione. Numerosi sindaci hanno espresso la loro adesione. Il 23 Aprile prossimo a Crotone si terrà un ulteriore momento di mobilitazione straordinaria (l’incontro si terrà presso la sede della Lega Navale); in tale occasione sarà reso pubblico un documento tecnico-politico di denuncia e di proposta elaborato dalle associazioni, che sarà inviato al Ministro Delrio (e per conoscenza ai Governatori delle regioni meridionali). Chiederemo ai sindaci della fascia ionica di scendere tutti in piazza, con i loro consiglieri comunali, insieme a noi; chiederemo loro di sfilare, tutti insieme, davanti alla sede del Ministero dei Trasporti con fascia tricolore e gonfalone; chiederemo al Ministro di incontrare una qualificata delegazione calabrese per affermare le nostre ragioni, e ne abbiamo da vendere.
III) In Calabria il sistema ferroviario sta visibilmente degradando da una decina di anni. Fa pensare il fatto che di fronte alle richieste avanzate dalla comunità di interventi significativi, l’amministrazione regionale sia appiattita su politiche ragionieristiche tese a limitare i danni correlati ai tagli continui di risorse, subisca le politiche di FS, propagandi per rivoluzionarie azioni di basso cabotaggio nel campo dei trasporti. Sono anni che le amministrazioni regionali calabresi fanno danni; il guaio è che si persevera, si chiacchiera e si pretende l’applauso e il silenzio della gente. Non è più tempo di attesa. E lo dicono i numeri seguenti.
Negli ultimi 20 anni sono state investite risorse pubbliche considerevoli per l’Alta Velocità, trascurando i servizi di trasporto ferroviari regionali, in assoluta contraddizione con i dati di mobilità. Abbiamo speso circa 100 Mdi Euro per una linea forte che collega solo alcune metropoli a scapito di tutto il resto del paese, e solo 4 Mdi Euro per i servizi ferroviari ordinari. Altri 40 Mdi Euro di investimento sono previsti per completare il disegno dei cosiddetti “corridoi AV”. Noi contestiamo la concezione dei corridoi , perché essa si traduce in mancanza di reti diffuse e in effetto marginalizzazione per ampie fasce di territorio e di popolazioni. I pendolari che si muovono quotidianamente in treno sono 3 milioni, i viaggiatori sulla lunga percorrenza sono appena 300 mila; basterebbe questo dato per affermare che sarebbe più corretto, in una logica sana di mercato, rispondere alla domanda di trasporto in modo più equilibrato a favore della scala locale e indirizzare congrue risorse sulle ferrovie regionali. Invece continua a prevalere l’ingiustizia. La distribuzione delle risorse fra i diversi modi di trasporto privilegia i modi privati motorizzati (82% auto e moto) a scapito di linee su ferro (5%) o servizi di trasporto pubblico (13%). I tagli al trasporto ferroviario regionale sono continui e l’effetto è sotto gli occhi di tutti: treni soppressi, treni sempre più vecchi, sporchi, soggetti a guasti, servizi da terzo mondo. In alcune regioni non si comprano treni ormai da decenni. Trenitalia, azienda di Stato, persegue una politica inaccettabile; avvalendosi esclusivamente di fondi pubblici, tende a rispondere alle esigenze di una minoranza di utenti. Non sarà certo la liberalizzazione sbandierata dei servizi a rallentare il degrado in atto; tale strategia è stata devastante laddove applicata. Colpisce i più deboli, colpisce le regioni più povere, è ingiusta, non è sostenibile. E’ ormai evidente lo squilibrio nel sistema di trasporto nazionale fra regioni del Nord e regioni del Sud; e non si tratta di banalità. A parte la maggiore estensione di autostrade e viabilità di qualità, si rileva che: a fronte di 50 km di rete a doppio binario per 100 km di rete nel Nord, nel Sud se ne trovano 27; a fronte di numerosi collegamenti ferroviari tra regioni del Nord, quelli fra regioni del Sud sono rari e di scarsa qualità (ad esempio si ha una media di 12,3 Eurostar/giorno contro 1,7); a Nord si ha il TAV (2,5 ore sulla Milano-Roma), a Sud no e quello che è peggio sono stati cancellati drasticamente i treni a lunga percorrenza. Solo con riferimento alla Calabria, in un biennio sono stati soppressi 18 treni interregionali (Marzo 2010: 2 ICN; Dicembre 2010: 1 IC, 1 ICN, 2 EXP, 2 EXP cuccette; Dicembre 2011: 1 IC, 1 ICN, 3 EXP, 5 EXP cuccette) ed è diventato pressocchè impossibile raggiungere la Puglia in treno. L’effetto delle politiche perseguite negli ultimi decenni è stato devastante: 120 treni AV fra Roma e Bologna, metropoli del Centro-Nord e il vuoto altrove; distanze tra le città del Nord sensibilmente più corte rispetto a quelle del Sud e delle Isole, frammentazione e impoverimento dei servizi interregionali che penalizzano in modo pesante il Mezzogiorno. Purtroppo le politiche di investimento relative al sistema dei trasporti nazionale ed in particolare al sistema dei trasporti ferroviari risultano fortemente penalizzanti nei confronti del Meridione d’Italia e della Calabria. Nulla è preventivato in sede di programmazione europea (gli eventuali investimenti sono lasciati a carico del Governo nazionale); nel recente piano di sviluppo FS, solo il 14,2% delle risorse su una ammontare di 43,5 Mdi Euro, è destinato al Sud e la Calabria è totalmente esclusa. Il Decreto Sblocca Italia stesso appare cieco nei confronti della Calabria. Il 27 gennaio 2016, il Ministro Delrio ha presentato pubblicamente un provvedimento di grande rilievo, il Contratto di Programma 2016-18 con RFI, richiamato dai media come «la cura del ferro», ha affermato che un’offerta di qualità stimola la domanda («non è un caso che laddove c’è offerta di qualità la domanda cresce»). Affermazioni che noi condividiamo in pieno. Ha anche parlato di un Patto con le Regioni in modo che gli investimenti siano utilizzati con un meccanismo innovativo e produttivo. Ma i fatti dimostrano una distribuzione incoerente, per non dire strabica, delle risorse: 9 Mdi Euro di investimenti in tre anni, in gran parte destinate a grandi opere strategiche, localizzate quasi integralmente al Nord Italia. Alla Calabria, ahinoi, sarebbero destinate delle briciole: appena 100 Mni Euro. Infine il Patto per la Calabria: nessun investimento per le ferrovie calabresi. Desolazione totale.
Chiediamo dunque responsabilità a chi governa. Trasporti Equo-Sostenibili, risorse distribuite equamente in rapporto alle reali esigenze della comunità. Meno TAV e più sicurezza, meno grandi opere inutili e più treni, meno stazioni cattedrali nel deserto e più servizi di qualità, memo privilegi per alcuni territori e più rispetto per le regioni del Sud, meno spocchia e più fatti concreti, meno corruzione e più competenze. La rete ferroviaria italiana dev’essere tutta a gestione unica e pubblica. Non ci interessano i minuti di silenzio per commemorare le persone morte per responsabilità che sono, in primo luogo politiche, e direttamente proporzionali al ruolo istituzionale. Noi vogliamo parlare e ci faremo sentire, perché è davvero ora di cambiare. ”
Prof. Domenico Gattuso
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