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Il progetto Filica, nato nell’Area Grecofona e cofinanziato dalla Regione Calabria, giunge alla conclusione della sua seconda edizione. Un progetto riguardante le minoranze linguistiche calabresi e che ha visto coinvolte i paesi della provincia di Reggio Calabria e Cosenza, con ente promotore il comune di Bova Marina. Un progetto che ha reso possibile lo scambio tra le diverse identità culturali e linguistiche calabresi, vantando la preziosa direzione artistica del prof.re Pasquale Casile e che ha visto coinvolto attivamente anche l’assessore Franco Plutino. Nel corso di queste edizioni, il Filica ha promosso diverse iniziative culturali ed artistiche, valorizzando le minoranze linguistiche con l’intento di conservare la futura memoria. Manifestazioni culturali, spettacoli musicali e teatrali, visite guidate nei musei e nelle zone caratteristiche di Bova Marina, dando ampia valorizzazione al Parco Archeologico “Archeoderi” sito a San Pasquale; durante alcune giornate estive, i visitatori hanno potuto raggiungere il parco con il trenino panoramico. Sono state organizzate giornate al parco intrattenendo sia i bambini della Scuola dell’Infanzia, sia alunni della Scuola Primaria. Inoltre, non sono mancate le mostre a tema, che hanno messo in risalto usi e costumi, come anche gli antichi mestieri ed i prodotti tipici locali delle tre diverse minoranze linguistiche calabresi. Un intenso programma, quindi, che ha realizzato l’intento di valorizzare e far conoscere la storia e la cultura dei territori interessati dalle minoranze linguistiche, coinvolgendo i giovani alunni delle scuole ed i turisti. All’interno del progetto Filica II edizione, si è inserito anche il concorso letterario “Il Sapere circolare delle minoranze storico-linguistiche Calabresi” promosso per le scuole e condotto dal prof. Pasquale Casile, che ha interessato le fasce di età degli alunni delle classi IV e V della Scuola Primaria e a tutte le classi della Scuola Secondaria di I°. Il concorso prevedeva di adottare un motto, un proverbio in greco-calabro, occitano e arbereshe oppure un’espressione dialettale per i ragazzi significativa, motivandone l’utilità nella loro vita e il valore morale nella contemporaneità. Lo scorso 24 febbraio, presso il Tempio della Musica, in Bova Marina, alla presenza del Sindaco, on. Saverio Zavettieri e dell’Amministrazione Comunale, oltre che di un pubblico numeroso e delle associazioni che hanno collaborato alla riuscita del progetto, si è svolta la cerimonia di premiazione del suddetto concorso letterario. A condurre la serata è stato Silvio Cacciatore, che con la sua conosciuta professionalità ha presentato anche gli ospiti della serata, Delia Traclò, cantante dello Zecchino d’Oro 66° edizione e Santo Palumbo, il famoso comico calabrese di Zelig. I partecipanti al concorso sono stati gli alunni di quattro I.C. della provincia reggina, presentando numerosi e validi elaborati: I.C. Montebello-Motta, I.C. Gioiosa Jonica- Mammola, I.C. Bova Marina-Condofuri-Palizzi e I.C. Platì. Sono stati premiati i primi tre classificati con un ex aequo al primo posto e consegnati gli attestati di partecipazione alle classi dei vari istituti e ai singoli alunni partecipanti.
Le due classi seconde della Scuola Secondaria di I° dell’I.C. “De Amicis” plesso di Platì, capitanato dalla DS, dott.ssa Daniela Perrone, guidati e rappresentati dalla prof.ssa Teresa Carmine Romeo, hanno partecipato al concorso promosso dal progetto Filica con due proverbi dialettali, che pur non rientrando tra i primi tre classificati sul podio, sono stati apprezzati anche dal pubblico presente in sala:
“Unu sulu non esti bonu mancu in Paradiso” (Un uomo da solo non sta bene nemmeno in Paradiso). Il proverbio scelto ha come punto di riferimento i caratteri fondamentali che caratterizzano lo sviluppo della personalità e della crescita individuale. Infatti, l’esperienza dello stare assieme agli altri è alla base della civiltà umana di ogni contesto. Stare assieme agli altri ci aiuta a capire la preziosa differenza di chi sta intorno a noi, a comprenderla ed accettarla, senza nessun tipo di pregiudizio e con sentimento di uguaglianza nella diversità. Stare con gli altri ci insegna a vedere la realtà con gli occhi e lo sguardo di tante persone e non solo con le nostre pupille, offrendo spunti interessanti su cui riflettere e ponderare il mondo che ci circonda. Essere assieme a qualcuno ci aiuta poi a vivere pienamente il senso della comunità, a colmare la nostra educazione civica collettiva. Essere in compagnia di qualcuno con cui si sta bene è di aiuto al nostro benessere psico-fisico ci infonde pace, senso di solidarietà e rafforza il sentimento di amicizia.
Il proverbio scelto, ci insegna socialmente che l’individuo non è fatto per stare da solo, non è la sua natura, perché nessuno è sufficiente a sé stesso. L’isolamento, l’esclusione, infondono uno stato di tristezza e malessere che ci allontana dalla serenità e non ci consente di vivere con gioia i nostri luoghi abituali di vita. Solo uscendo dall’isolamento l’individuo è capace di capire e comprendere il valore della libertà, solo fuori dal proprio interesse egoistico può attuare una partecipazione attiva nella società migliorandone la realtà e farla crescere, mettendo in evidenza i problemi e trovando le opportune soluzioni.
Insieme agli altri abbiamo un mondo più giusto, più bilanciato, con la diminuzione delle discriminazioni e soprattutto più bello.
“Dimmi cu esti to patri e ti dicu cu si” (Dimmi chi è tuo padre e ti dirò chi sei).
Il proverbio scelto ci costringe a pensare delle riflessioni di fondamentale importanza. Essere parte di una stirpe familiare rafforza, infatti, il senso della individualità personale all’interno della comunità come fattore fondamentale della stessa, infatti, la civiltà è pensata a misura di individuo. Individuare la propria famiglia di appartenenza significa mettere in risalto i pregi e i difetti passati, presenti e futuri di quella stessa gente inserita nella comunità. Relativamente ai pregi socialmente noti a tutti, le nuove generazioni che di quella famiglia sono i discendenti si sentono chiamati al sacro dovere di custodirli anche per il futuro, preservando il senso della virtù che è tratto essenziale del cognome che portano, custodendo con gli esempi il buon nome della famiglia in senso di rettitudine morale. Relativamente ai difetti, le nuove generazioni sono spinti invece a migliorarsi e correggerne i difetti storici in un’ottica di miglioramento e perfezionamento di sé stessi, della famiglia e della serenità della comunità interna. Il proverbio, socialmente importante, ci fa capire che i ragazzi da parte della comunità adulta, non vengono semplicemente considerati come persone di piccola età, ma sono invece individui della collettività del proprio paese e quindi portatori di una storia familiare.
Gli individui adulti nella tradizione storica della famiglia, fatta di aneddoti, mestieri, racconti, fatti eclatanti, esperienze umane fanno di questo senso di familiarità storica, la carta di identità valoriale dell’individuo giovane che si approccia al contesto sociale. Così i giovani si approcciano seguendo una traccia storica della stirpe di nascita, capendone la provenienza, l’educazione, l’indole, l’abilità, le virtù e i vizi storici. In questo modo, le generazioni più grandi possono conoscere il passato familiare e interagendo col dialogo e con la loro storia di adulti, possono portare a compimento l’opera di educazione morale per esaltarli nei valori storici della propria famiglia, rafforzandone il sentimento di fierezza, oppure correggendoli per portarli sulla retta via morale. Quello che infondo fanno tutte le società civili, che hanno come figura di riferimento i saggi anziani seduti attorno al fuoco che hanno il compito di educare alla virtù e al buon senso civico.
-Carissimi alunni, aver condiviso insieme questa esperienza è stato per me un onore. Non abbiamo vinto, ma come sempre vi dico, l’importante è mettersi in gioco per conoscere, imparare e divertirsi. La vera vittoria è sapere anche perdere con umiltà. Da vostra insegnante vi dico che avete vinto dal momento in cui vi siete lasciati coinvolgere e ci avete creduto, esprimendo tutto il vostro entusiasmo con la semplicità che vi contraddistingue. Credo che bisogna rivolgere il proprio sguardo ai giovani con gli occhi dell’anima, per scoprire in loro un universo meraviglioso che può sorprenderci. Una gran gioia per me raccontare davanti ad un pubblico attento e partecipe la realtà di una cultura conservatrice di tanto sapere. Sono felicissima del percorso, del risultato e del successo che abbiamo avuto anche senza aver vinto. La vostra prof.ssa-
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