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Il Coronavirus ha messo in ginocchio l’Italia e il mondo in generale. Il nord Italia è stata fortemente colpito con moltissime vittime che si sono registrate, e che continuano a registrarsi.
Racconto dal “fronte”
Molti i medici in prima linea che continuano a prestare il proprio servizio. Tra questi figura Giuseppe Labate, di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, che da anni lavora nel bergamasco. Lui ha vissuto in prima persona gli effetti di questo virus letale che ha lasciato alle sue spalle molti morti. Gli poniamo alcune domande sulla situazione generale:
Lavoro come medico vaccinatore e medico legale da circa 9 anni presso l’asst Bergamo est (ex ASL), distretto di Alzano Lombardo Albino. – dichiara il dottor Labate – È stato un flagello. Specie nelle settimane centrali del mese di marzo ho dovuto affrontare una emergenza dal punto di vista igienico sanitario più grande di me e di tutti noi.
Con il passare del tempo, purtroppo i miei colleghi del distretto di Clusone si sono ammalati di Coronavirus. Pertanto sono rimasto da solo, unico medico insieme al direttore del distretto a gestire la situazione sul territorio. Ho certificato casa per casa circa 500 morti che se nn fosse stato per l’opera certosina, straordinaria delle imprese funebri, questi stessi nn avrebbero avuto degna sepoltura e cremazione ma probabilmente si sarebbe dovuto ricorrere alle fosse comuni come in altre parti del mondo.
Momenti veramente difficili
Una situazione difficile da descrivere che ha segnato tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle i segni indelebili del Coronavirus:
I morti erano ovunque, nelle chiese, negli obitori, nelle case funerarie, nelle abitazioni. Spesso tuttavia gli stessi parenti nn li volevano, in casa per paura del contagio. Uno dei principali problemi della carenza di medici sul territorio e della diffusione del contagio è stata proprio rappresentata dalla burocrazia.
Neanche in una guerra simile si è riusciti a semplificare e snellire. Infatti solitamente dopo un decesso in abitazione intervengono prima il 118, con automedica attivata dai parenti nel tentativo disperato rianimarlo. Poi la guardia medica constata il decesso; in seguito il medico di base redige istat. Infine, il sottoscritto in qualità di medico legale/necroscopo interviene per la chiusura del feretro ed il rispetto delle condizioni igienico sanitarie.
Burocrazia difficile
4 medici a domicilio che insieme ai parenti del defunto ed agli operatori delle pompe funebri intervenuti non hanno fatto altro che favorire la diffusione del contagio. Sarebbe bastato uno due medici con gli altri utilizzati per coprire la carenza medici sul territorio.
Tantissimi infatti i medici di base assenti per quarantena domiciliare, per ricovero ospedaliero o addirittura morti. In presenza di centinaia di morti, le autorità competenti avrebbero dovuto individuare delle strutture grandi idonee per accoglierli in ogni paese senza lasciarli a casa. Chiese e cimiteri non son stati sufficienti. Un dramma apocalittico non esagero giuro.
In questi momenti il primo pensiero va ai propri cari:
Ho avuto tanta paura per la mia famiglia che era stata qui fino al giorno 8 marzo e per mia figlia a casa con la madre. Ho lavorato ininterrottamente dal 4 marzo al 17 aprile, anche 14 ore al giorno senza sosta lavorando a stretto contatto con le imprese funebri e le forze dell’ordine.
Alla popolazione consiglio di rispettare le misure restrittive, ed avere pazienza perché il virus è letale, subdolo. Non bisogna abbassare la guardia e fare un ultimo sforzo di poche settimane rimanendo in casa.
Progetti futuri
Tutti sperano che le cose migliorano nelle prossime settimane per cercare di ritornare, anche se parzialmente, alla normalità. In questi momenti molti sono i pensieri che balenano nella testa delle persone. Chiediamo a Giuseppe Labate quale sarà la prima cosa che farà una volta terminato l’isolamento obbligatorio:
La prima cosa che farò una volta finito tutto è due tiri a basket al campetto “Berghem molamia“.
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