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Salvatore Siviglia purtroppo é venuto a mancare.
“L’ultimo autentico greco di Calabria è morto. Oggi siamo ancora piú soli”. Dolce il ricordo di Salvatore Siviglia da parte anche di Filippo Violi, Presidente del CCC, Centro di Coordinamento del Calabrogreci. Oltre a quello del sindaco di Roghudi Pierpaolo Zavettieri.
Salvatore Siviglia, il ricordo
In una lunga lettera, Violi ricorda la figura di Salvatore Siviglia, “nato a Chorìo di Roghudi ma ormai viveva da anni a Roghudi Nuovo. Anche se il suo sguardo era rivolto continuamente verso il suo paese nel quale ritornava di tanto in tanto.
Il suo crudo realismo senza reticenze, la sua affabilità, il suo vissuto biografico ne hanno fatto una delle vecchie querce grecaniche più resistenti. Al pari di tanti calabro-greci anch’egli è stato sfrattato sia da una natura inclemente, sia dai protagonisti di una società che si indaga solo sui numeri. In quello “sfasciume pendulo” scolpito su una montagna, che è Chorìo di Roghudi, egli ritornava di tanto in tanto, quasi quotidianamente, perché quotidiana continuava a essere la dura fatica e l’amore per il suo paese.
Come tanti altri, egli ha disegnato la mappa stravolta di questo micro universo sparente, cercando di conservarne la memoria dopo essersi affacciato, ancora giovane, al duro mondo dell’emigrazione che lo aveva sradicato dal suo ambiente, relegando, temporaneamente, la sua voce dentro il chiuso dell’anima. Ma essa aveva ormai da tempo ripreso i suoi toni lirici, senza cesure, senza concedere pause ai suoi interrogativi e ai suoi affetti”.
Familiaritá con la lingua greca
“La sua familiarità con la lingua greca risaliva alla prima infanzia. La sua dimestichezza e la passione per la lingua lo avevano portato ad essere da sempre presente nell’Associazione culturale “La Jonica” ed a collaborare con tutte le associazioni ellenofone. Negli anni era stato vincitore del premio di poesia del primo “Jalò tu Vùa” e “Delia”. Oggi era un prezioso riferimento per quanti, nell’area ellenofona e nella stessa Grecia, intendevano dedicarsi alla cura e alla conservazione di questo immenso patrimonio culturale. Per chi conosce la realtà geografica di Roghudi, la poesia di Salvatore Siviglia poteva suonare strana. Ma così non è! Non c’è canto del nostro autore dove egli non sollevi il tenero rimpianto per il proprio paese.
La sua è stata una continua ostinazione. Roghudi è là ormai, abbandonato su quello sperone di roccia, aggredito dai fiumi da ogni parte. Sembrerebbe impensabile continuare a resistere e a viverci, eppure l’orizzonte esistenziale di Salvatore Siviglia non intendeva andare molto più in là di quei confini e di quella comunità legata da sempre e per sempre a quella roccia. Erano troppi i ricordi legati a quella terra, troppo grande l’amore per essa per potersene dimenticare.
Tra i migliori conoscitori della lingua grecanica, il Siviglia è sempre stato padrone del verso e della parola che egli dominava e da cui era dominato in un continuo tormentato processo di identificazione. Il suo linguaggio era chiaro, piano, colorato ed efficace, e egli rifuggiva, per quanto era più possibile, dalle parole che appartenevano al dialetto romanzo, scavando nella sua memoria storica. E non sembri cosa da poco in un momento in cui la lingua grecanica ha ceduto ormai all’invadenza della lingua calabrese e da essa dipende per moltissimi termini lessicali.
Poesia Salvatore Siviglia
“Come una ininterrotta sensazione metrica sul suo paese, condannato da un verdetto inesorabile che altri hanno pronunciato”. Con queste parole Violi ha voluto rappresentare “la poesia di Salvatore Siviglia che si è sempre animata di sentimenti poetici che lasciavano spazio all’immaginazione e all’astrattismo”. Tutto il CCC, di cui fa parte anche il vice presidente Mario Maesano, ha voluto ricordare come “le sue liriche avrebbero ben poco da invidiare a quelle dei poeti dell’Arcadia. Pur essendo dominate e ristrette dentro gli angusti limiti del povero lessico grecanico. La parola di Salvatore si convogliava liberamente nel verso ed era diventata verifica di una condizione e quasi di un impianto onirico. Il suo paese è sempre lì, sempre più abbandonato, ma non da lui che sa di essere tra gli ultimi difensori della sua identità culturale”.
Ricordi del passato
“Era un poeta anch’egli degli affetti familiari, riviveva i propri ricordi di un passato, vicino o lontano, accostandosi ad esso in un piacevole indugio. E’ così che Salvatore Siviglia si attardava nel suo profondo senso di appartenenza e di fedeltà a un passato che, qui da noi, è in fondo un topos specifico di tutta la cultura ellenofona. Nella sua poesia insistono i segni della memoria: paesaggi lirici, emigrazioni. ritorni, le radici, la consapevolezza di appartenere ad una cultura “altra”. E’ così che la realtà ha sottolineato un maggiore significato, vestendosi per metà di sogno.
La sua è stata una realtà combattuta tra orgoglio ferito e desiderio di appartenenza ad un mondo che ieri era privo di confini, ed oggi è racchiuso entro gli angusti limiti di un orizzonte agro-pastorale”.
Liriche
“Tra le sue liriche proponiamo qui “To chorìo ti ccardìa” che possiede certamente il miracolo della parola che si trasfigura in immagini reali. Il suo paese è “umanizzato”, reso vivo, anche se ormai l’ingiuria del tempo lo ha desertificato completamente. Roghudi è come un uomo addormentato, disteso in quel paesaggio naturale che lo circonda. Gli fanno corona i verdi boschi e il torrente Furrìa. In questo canto Salvatore aveva affrontato un altro dei temi ricorrenti nella storia della poesia grecocalabra: il mito della notte. La notte infonde serenità e pace al cuore ed al corpo stanco, mentre intorno la natura vive la sua vita di sempre, palpitante e silenziosa. Domani sarà un altro giorno.”
Crimmèno ecì sti vathìa
Nascosto là nella valle
anda vunà tu Asprumunti
dai monti dell’Aspromonte
aplònnete traclondàri
si distende di traverso
to chorìo ti ccardìamu.
il paese del mio cuore.
Stin ciofalì, jà porcilafàri,
In alto, per guanciale,
i pràsini oscìa;
i boschi verdi;
sta pòdia, jà sulèria,
in basso, per calzari,
o potamò ti fFurrìa[1].
il torrente Furria.
Cùnnete sti vradìa
Si ode nella sera
to tragùdi tu alèftora
il canto del gallo
ismìa me to tragùdi
unito alla canzone
tu curamènu andra,
dell’uomo stanco,
ghiomàto pricàda
pieno di amarezza
jà tin dulìa varìa
per le pesanti fatiche,
jà tin zoì scerì.
per la dura vita.
Ma i fonì en glicìa
Ma la voce è dolce,
jà na t’addhismonì
per dimenticare
ce na chistì tin cholì.
e per scacciare l’amarezza.
Sto celo feni to fengàri
Nel cielo appare la luna
scìzonda to scotìdi
fendendo il buio,
ste ftèrighe tu iplu
sulle ali del sonno
macrèni tin curasìmi.
allontana la stanchezza.
Visioni di Siviglia
“Si osservi come nel Siviglia tutte quelle visioni restavano sempre nitide e precise, non hanno mai perso la loro concretezza realistica e, pur sfumate nella fantasticheria e nel sogno, erano oggetto di trepidi ricordi e di malinconica nostalgia. Salvatore non ha mai ignorato la dimensione del presente: anche quando si riferiva a cose e luoghi ormai abbandonati, dava l’impressione di risospingerle dal tempo in avanti; e tutto ciò che toccava si faceva grande e vicino come se egli vedesse il suo mondo con una lente di ingrandimento, e ponesse sempre tra sé e la realtà la forza inesauribile della memoria e dei rimpianti”.
Luoghi di Roghudi
“Passano così nella sua poesia i luoghi che sono familiari ad ogni greco di Roghudi, ma non vi passano come vecchie ingiallite fotografie strette insieme nella compagine di un album: la luce che vi discende e che dà rilievo alle immagini ha un che di luminoso, di vivo e di carezzevole. E sulle cose, come sugli uomini, si avverte il lento e implacabile passare del tempo, il succedersi eguale delle stagioni: sulle voci della natura e degli uomini non cade mai il grande silenzio dell’oblio e della notte; sulle rumorose vicende s’insinua quasi un presentimento di rinascita. Di qui certi notturni dolcissimi pervasi da una suprema estenuata malinconia; di qui, anche, certa sapiente aggettivazione che coglie, al di là delle apparenze, l’essenza segreta dei luoghi descritti”.
Linguaggio
“In Salvatore Siviglia il linguaggio era chiaro, piano, colorato ed efficace. Ed egli rifuggiva, scavando nella sua memoria storica, dalle parole che appartenevano al dialetto romanzo. E non sembri cosa da poco in un momento in cui la lingua grecanica ha ormai ceduto all’invadenza della lingua calabrese e da essa dipende per moltissimi termini. Ora non sei più con noi, Salvatore, ma noi non ti dimenticheremo mai, compagno di viaggio, amico, fratello! Ciao, Salvatore”.
[1] Furrìa: idronimo di Roghudi
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