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di Virginia Iacopino
Nella storia dell’uomo intere popolazioni migrarono da un territorio all’altro sia per cercare terre più fertili e sia per sfuggire a persecuzioni.
Nell’Antico Testamento si narrano le durissime condizioni di vita degli Ebrei che emigrarono in Egitto per sfuggire alla carestia che si era abbattuta in Palestina. Alla fine dell’ottocento moltissimi italiani abbandonarono le terre più povere ed emigrarono soprattutto negli Stati Uniti d’America.
I primi ad emigrare furono i liguri, i piemontesi, i lombardi e i veneti che, una volta inseriti nelle terre del Brasile, dell’Argentina, dell’Uraguai, California ecc. spesso chiamavano amici e parenti ancora in Italia indirizzandoli verso possibili offerte di lavoro massacrante. Delusi cantavano: trenta giorni di nave a vapore fino in America noi siamo arrivati.Abbiamo trovato nè paglia nè fieno. Abbiamo dormito sul nudo terreno come le bestie abbiamo riposato. E con il sangue e sudore di noi italiani abbiamo formato paesi e città.
Il viaggio verso la “Merica”per travagliare era un’esperienza traumatizzante: uomini, donne e bambini, ammassati nelle navi spesso si ammalavano, alcuni morivano prima di mettere piede nella terra dei miracoli.
Le grandi compagnie di navigazione organizzavano grandi parate nei porti di sbarco. In un grosso pentolone (pentola di fusione) entravano gli emigranti vestiti con i loro costumi tradizionali e con cartelli appesi al collo che indicavano il paese d’origine e ne uscivano trasformati in americani recando in mano bandierine a stelle e a strisce. Successivamente venivano segregati e concentrati nella Little Italies costituita da quartieri degradati dove si conduceva una vita di miseria in baracche o a dormire per strada e trattati con diffidenza dagli americani. Esplodevano spesso tensioni e forti ostilità; in senso dispregiativo venivano chiamati Dago (nomignolo di Diego).
Se un povero dago sputava per strada, la polizia lo arrestava e lo metteva in libera uscita solo se poteva pagare almeno l’equivalente di cinque lire. Se giocavano a carte nei giorni di festa venivano pesantemente contravvenzionati. Molti giornalisti avevano ben compreso che questo “bubbone infetto” era generato dagli stessi americani per il loro disumano comportamento dei poliziotti, soprattutto irlandesi, che perseguitavano gli emigranti. La reciproca violenza era all’ordine del giorno. Il formicaio degli emigranti cresceva nella miseria e nella sporcizia.
Questa situazione piano piano degenerò e sviluppò la mafia che riuscì a colmare il vuoto di chi non sapeva applicare leggi umane per farle quindi rispettare. Si formarono organizzazioni segrete con finalità politiche spesso terroristiche di estrema destra naziste. Una di queste fu la potente lega bianca del K,K.K. Per salvaguardare la pura razza americana mettevano a ferro e a fuoco fattorie in cui lavoravano i dago distruggevano interi raccolti,prendevano molti dago e li impiccavano agli alberi. La stampa europea e molta buona stampa americana chiedevano giustizia contro questo barbaro e spietato sistema in cui nacque e si consolidò l’organizzazione della cosiddetta mano nera che consisteva nell’imprimere una mano sporca di carbone sull’uscio di una casa, avvertimento per impaurire e far scappare i legittimi proprietari dell’abitazione e in essa subentravano le famiglie della mano nera.
Lettere ricattatorie con impresso il disegno della mano nera contornata da teschi e pugnali incrociati invitavano le vittime a depositare una certa somma in un certo luogo. Chi non pagava o veniva ucciso oppure gli venivano distrutti case, negozi ecc. Si finì per assoggettarsi a pagare o morire. Questi malviventi contavano sull’omertà delle vittime. Fu comodo accusare gli emigranti inventori della mano nera costituita anche da malavitosi italiani che si recavano negli Stati Uniti dove era possibile sfuggire alla pena; inoltre era facile acquistare armi e si otteneva la libertà di uscire dal carcere dietro pagamento di una cauzione.
Molti criminali italiani, soprattutto siciliani e calabresi, guardavano gli Stati Uniti come terra promessa per i loro crimini in compagnia dei gangsters americani. Tutto ciò non sarebbe successo se gli emigranti fossero stati accolti civilmente.
Il gansterismo americano si servì del bandito Lucky Luciano che rese preziosi servizi per lo sbarco degli alleati in Sicilia; favorì così la ricostruzione dell’Onorata Società per stringere rapporti tra i pezzi da 90 della malavita americana con quella italiana che importava ed esportava arance riempite di eroina.
La giustizia verso i più poveri emigranti, i senza dignità, a mio parere non deve essere frutto di carità-elemosina ma il riscatto storico della giustizia che testimonia l’amore di Francesco d’Assisi che divenne seguace di Cristo in mezzo ai poveri e per i poveri come ha saputo fare Don Gallo non con chiacchiere ma con fatti. E’ assurdo leggere che il Vescovo dei migranti afferma di essere vicino ad essi ma chiede di mettere in sicurezza il centro storico di Agrigento che necessiterebbe di due milioni di euro che la regione ha promesso. Perché tale somma non viene chiesta per gli emigranti?
Secondo me la ricostruzione di edifici ecclesiastici può essere procrastinata; solo così possiamo credere alla discesa dello Spirito Santo che illumina il cammino degli emigranti verso un lavoro dignitoso dei fratelli che vengono da lontano.
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