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L’oblio del 25 aprile 1945 sarebbe una colpa e potrebbe essere foriero di amari risvegli, rigurgiti del ventennio fascista.
Una nuova destra sta rinascendo in tutta l’Europa, Italia compresa. Trova il suo nutrimento nel populismo nazionalista e xenofobo che si appella ed esplode con il dramma degli emigranti. L’individualismo e l’egoismo vengono glorificati. Si alzano muri e fili spinati che costituiscono feroce linea di confine. Stiamo attenti!!! La soluzione del problema sta nel trovare insieme meccanismi di solidarietà nell’accoglienza. I microcosmi chiusi nella circonferenza della brutalità non potranno portare ricchezza collettiva. Ritorneremo a: “camicia nera, pantaloni neri, morte sul petto, nerbo di bue” che non ci permetteranno di festeggiare il 25 Aprile, anniversario della liberazione dalle ingiustizie sociali.
La guerra partigiana è stata sostenuta dai contadini e operai romagnoli più di qualsiasi altra categoria sociale. Del resto i campi di battaglia furono zone rurali e di montagna. Contadino fu il supporto sociale ed economico che permise l’affermarsi della lotta armata fino a farla diventare movimento di massa. Ai contadini toccò di alimentare e proteggere, con gravi rischi e sacrifici, le formazioni partigiane trasformando i casolari in centri di raccolta, caserme, comandi, infermerie e fortilizi secondo le mutevoli necessità del momento.
Di questa lotta sanguinosa i contadini pagarono il prezzo più elevato con l’uccisione di persone e con la distruzione dei loro averi. Una grande famiglia di mezzadri, i Cervi, simboleggia questo olocausto.
Rilevante fu la partecipazione delle donne. Più di 2000 caddero in combattimento o vennero fucilate,3000 furono deportate, pochissime ritornarono distrutte nel fisico e nella psiche dai campi di sterminio.
Quando le squadracce fasciste catturavano una donna, la denudavano, le legavano piedi e mani, la bendavano e la violentavano l’uno dopo l’altro. La rivoluzione partigiana fu ben guidata da quei militanti politici e intellettuali di grande valore morale che hanno saputo interpretare le esigenze della massa e mettersi alla testa dell’organizzazione di tantissimi gruppi partigiani in cui non mancavano sacerdoti contrari alle direttive clerico fasciste; furono, per questo, scomunicati.
Sandro Pertini, laico, figlio di madre credente che parlava direttamente con Dio, ci lasciò insegnamenti di grande valore: “Quando la libertà è perduta, tutto è perduto. Quindi come ieri, oggi è sempre resistenza…Non ho mai commesso l’errore di tradire la libertà e la democrazia…Ho preso tante legnate dai fascisti, ma non ne ho mai restituite perché l’uomo di fede deve denunciare con violenza verbale tutte le angherie che egli stesso subisce o che assiste a violenze su altri; non so cosa sia il cinismo ma so cosa accade all’omertoso; forse è per questo che sono un cattivo politico. Per un cattolico è peccato mortale non recarsi alla Messa, per me, uomo di sinistra, lo è il rubare ed il farsi corrompere.”
Il movimento popolare della resistenza non conobbe la supremazia di un gruppo sull’altro ma condivise gli ideali di Libertà senza mai trasgredire all’obbedienza delle regole concordate che costituivano vangelo, atto di fede e di saggezza. Per tutto questo la lotta partigiana non fallì. Fu lotta di resistenza rivoluzionaria la cui ruota incominciò a girare l’8 settembre 1943 completando il suo vittorioso giro nel 1945.
I “Ribelli” della montagna non si fecero prendere in massa per essere impiccati ai pali del telegrafo come propagandavano i fascisti. Dopo Matteotti la seconda vittima del fascismo è stato il liberale Giovanni Amendola. Lunghissima è la lista dei singoli massacri fascisti. Con gli scritti sull’Unità, Eugenio Curiell spronava i giovani alla giusta lotta e, per questo, nel febbraio 1945 fu atrocemente assassinato da una squadraccia fascista repubblichina.
Ignazio Silone, nel suo romanzo di grande successo “Fontamara”, denuncia le angherie e le condizioni di vita disumane dei contadini abruzzesi (cafoni) sfruttati in modo indegno dai padroni alleati con i fascisti.
Mi piace ricordare i due gemelli veneziani diciottenni, guerriglieri partigiani, soprannominati Brontolo e Mammolo. Portavano per tutta la giornata lungo i pendii montani, enormi pesi, cercavano affannosamente materiale bellico abbandonato dal nemico; camminavano in silenzio incuranti del forte fischio del vento, dell’urlo della bufera e delle loro scarpe rotte ma si impaurivano e si angosciavano al sibilo degli spari delle mitragliatrici fasciste, si buttavano a terra e, stretti stretti si abbracciavano per proteggersi a vicenda. E quando un giorno gli fu regalata una intera pagnotta ed un po’ di salsiccia non pensarono di sgranocchiarsela da soli ma la sbriciolarono per dividerla con gli altri.
I panni bianchi stesi alle finestre delle case lungo la vallata erano segnali dell’arrivo delle autocolonne tedesche in missione di rastrellamento per catturare i ribelli da fucilare. Dal 21 aprile 1945 insorsero tutte le città settentrionali seguite dall’insurrezione del centro e del meridione; finalmente l’Italia era libera.
Il 25 aprile alle 8,30 il comitato di liberazione assume tutti i poteri civili e militari in nome del popolo italiano. La ruota della resistenza aveva girato bene e la resa dei conti finalmente arrivò anche se il Duce cercava di mettersi d’accordo con i prelati. Ma ognuno pensava a salvare se stesso. Non valse la regola che crudel cosa è calpestar chi cade; erano troppe le violenze che il regime nazifascista aveva usato contro gli inermi. Finiva la violenza che era iniziata con la complicità borgese clerico fascista iniziata il 23 marzo 1919.
Il 28 aprile Mussolini doveva lasciare l’Italia per espatriare, il Cardinale di Como con cui si era amichevolmente intrattenuto, gli mette a disposizione un’auto. L’ex Duce voleva recarsi in Svizzera ma non venne accettato; cercò di entrarvi clandestinamente ma le guardie di frontiera lo riconobbero e gli bloccarono la via di fuga e si unirono ai partigiani che arrivavano. Secondo gli accordi presi 35mila fascisti dovevano aspettarlo in Valtellina; ciò non avvenne, disertarono in massa. Rimase con lui un pugno di uomini che, a Dongo, furono fucilati. Rimane ancora un mistero di questo massacro. I partigiani si opponevano all’esecuzione sommaria, lo volevano catturare per consegnarlo agli alleati affinché potesse essere giudicato dal popolo italiano.
I 17 cadaveri, tra cui Claretta Petacci furono portati dai partigiani in Pizzale Loreto in Milano scaricati a terra sotto la pensilina di un distributore di benzina dove i nazisti il 14 agosto 1944 fucilarono 15 antifascisti. Le salme dei fascisti furono appese per i piedi e restarono esposte per tutta la giornata. A quel macabro spettacolo accorsero da tutte le parti. Pietosamente Parri e Pertini ordinarono la loro rimozione. Con questo atto Pertini dimostrò la sua grande umanità mettendo da parte il rancore che avrebbe potuto nutrire: il fratello Eugenio fu catturato mentre affiggeva manifesti antifascisti; fu internato in un campo di concentramento e successivamente ucciso e cremato.
Ebbi la fortuna di incontrare in Val Gardenia, lungo la ferrata scalinata che era servita per la guerra di trincea e ormai abbandonata, una persona anziana che si arrampicava con passo svelto; ad un tratto si voltò, immediatamente lo riconobbi e gli dissi: ciao Sandrocchio; mi guardò e mi chiese: chi sei? risposi: Virginia la terrona aspromontana comunista nata nella punta dello Stivale nel 1942 un anno dopo la stesura del manifesto di Ventotene. La mia età anagrafica non mi permise di fare la staffetta. Si commosse. Rispettosamente lo salutai stringendogli la mano. Questo avvenne all’alba: Lui si era sottratto alla sorveglianza; io ai miei amici. Entrambi per godere nel miele della solitudine cercata le bellezze della natura di quei luoghi che erano stati oltraggiati dalle vicende belliche.
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