Montebello Jonico, Gip riapre indagini sulla morte di Carmelo Zema

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Accolta in pieno l’opposizione presentata da Studio 3A alla richiesta di archiviazione, disposte verifiche sul muretto che ha ceduto, sui lavori realizzati e sui materiali usati dall’impresa ASE, sull’esecuzione dell’appalto e sui controlli effettuati dalla Provincia Quali erano le condizioni effettive di manutenzione della Provinciale 22? I muri di contenimento e la qualità del calcestruzzo e dei materiali di cui sono composti sono a norma? L’impresa ASE ha svolto regolarmente i lavori che le erano stati affidati e la Provincia ha controllato il rispetto del contratto? Vuole vederci chiaro il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, Antonino Foti, sull’ennesima morte avvenuta nel Reggino sulla Provinciale “maledetta” Sant’Elia-Fossato Jonico: quella di Carmelo Zema, 67 anni, di Montebello Jonico. Accogliendo in pieno le argomentazioni proposte dal servizio legale di Studio 3A, a cui si sono affidati i familiari della vittima, nell’opposizione all’istanza di archiviazione del procedimento avanzata dal Pubblico Ministero, dott.ssa Sara Amerio, il dott. Foti ha rimandato il fascicolo allo stesso Pm, disponendo di effettuare tutta un’articolata serie di ulteriori indagini, anche attraverso la nomina di un consulente tecnico d’ufficio.

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I fatti. Il 23 febbraio 2015, poco dopo la mezzanotte. Zema sta percorrendo la Sp 22 in direzione mare-monte quando all’improvviso, in località Moro della borgata Masella del comune di Montebello, all’altezza del km 7,800, perde il controllo della sua Fiat Punto, che va a cozzare contro il parapetto, abbattendone una parte. A questo punto, secondo la ricostruzione dei carabinieri di Montebello, intervenuti per i rilievi, l’automobilista sarebbe sceso dalla vettura per verificarne i danni, si sarebbe portato sul lato destro della stessa e si sarebbe chinato e appoggiato al muretto di protezione, che però si è sbriciolato, crollando e facendolo precipitare nel precipizio sottostante: un volo di svariati metri che gli è stato fatale. Il 67enne peraltro ha sbattuto la testa su dei massi caduti nel burrone dopo precedenti crolli dello stesso muretto. A dare l’allarme sono stati degli automobilisti di passaggio che, insospettiti alla vista della Punto a bordo strada con il motore e i fanali accesi, si sono fermati guardando di sotto e notando il corpo esanime di Zema.

I familiari della vittima fin da subito non hanno accettato la tesi sbrigativa della disgrazia e della fatalità: troppe le morti lungo quella strada che definire pericolosa è un eufemismo. Pochi mesi dopo l’incidente costato la vita a Zema, solo per citare uno degli episodi più clamorosi, si è salvato per miracolo anche il parroco di Montebello, don Giovanni Gattuso, la cui vettura è stata investita da una pioggia di massi distaccatisi dal costone della montagna e finiti sulla strada. Per fare piena luce sui fatti, dunque, attraverso la consulente personale Linda Mazzon, gli Zema si sono rivolti a Studio 3A, la società specializzata nella valutazione delle responsabilità civili e penali, a tutela dei diritti dei cittadini, che in Calabria, tra gli altri, ha seguito anche la vicenda del crollo del viadotto “Italia” sulla Salerno-Reggio Calabria, costato la vita ad un operaio.

I congiunti di Zema, attraverso il servizio legale di Studio 3A, hanno presentato denuncia-querela presso la Procura di Reggio Calabria, che ha aperto un procedimento penale iscrivendo nel registro degli indagati per i reati di cui all’art. 328 del codice penale (rifiuto d’atti d’ufficio – omissione) l’ingegner Domenica Catalfamo, 50 anni, dirigente del settore “Viabilità-Trasporti-Catasto Strade” della Provincia di Reggio Calabria. La quale Amministrazione provinciale è stata citata in causa anche in sede civile con una richiesta di risarcimento dei danni patiti dai congiunti della vittima.

Per corroborare le proprie tesi Studio 3A ha anche affidato a un esperto, l’architetto Franco Davanzo, una perizia sulle condizioni della Sp 22 e sui sistemi si sicurezza stradali passivi posti in opera. Le conclusioni del tecnico non lasciano spazio a dubbi. Secondo Davanzo, “vi sono gravissime carenze riguardanti le misure di sicurezza che dovrebbero essere presenti sulla SP 22 della Provincia di Reggio Calabria”. Innanzitutto, “la parete a monte è costituita da rocce che in presenza di piogge si disgregano e franano, e non vi sono presidi in grado di contenere il materiale di frana che svicola sul manto stradale”: la notte dell’incidente pioveva e il fondo era bagnato. Inoltre, “vi sono importanti carenze anche sulla manutenzione della strada stessa: il materiale che invade la carreggiata non viene asportato da lungo tempo, al punto che sul terriccio accumulato sotto il muretto, sul lato verso valle, crescono erba e arbusti”. La segnaletica orizzontale, poi, “è sbiadita e pressoché irrilevabile: l’assenza della linea bianca di delimitazione laterale rappresenta un grave pericolo per i veicoli che percorrono la strada non permettendo di comprenderne l’andamento”.

Non da ultimo, “i sistemi di ritenzione laterali in molti punti mancano oppure non sono in grado di assolvere la loro funzione. Il muretto posto lungo il lato valle è di altezza inferiore alla norma e non è in grado di contenere l’urto di un veicolo né di re-direzionare un mezzo che sbanda”. Davanzo si sofferma particolarmente sul parapetto, su cui pure erano stati eseguiti recenti lavori di ripristino. “Il muretto è di altezza totale di 70 centimetri, inferiore alla misura minima consentita di un metro”; “ha un altezza variabile: a 30 cm dal punto d’impatto è alto solo 15 cm, e quindi non può assolvere alcuna funzione di ritenzione. Circa 6 metri prima del punto d’impatto manca del tutto: è presente solo una rete metallica posta in opera dal proprietario del fondo confinane”. Inoltre, “è stato costruito con calcestruzzo di scarso valore che si sgretola solo sotto lo sforzo prodotto dalle dita, confezionato con un’insufficiente qualità di cemento e con inerti di pezzatura inadeguata, e, soprattutto, senza la messa in opera di adeguata armatura metallica”.

Considerato infine che, dai lievi danni riportati nell’impatto, la velocità delle vettura doveva essere ridotta, non più di 30 km all’ora, “se il muretto di contenimento fosse stato adeguatamente armato e di altezza regolamentare, dopo l’urto con l’auto non sarebbe crollato nel dirupo sottostante e il signor Zema non sarebbe precipitato nel vuoto, perdendo la vita” conclude il perito.

Conclusioni a cui peraltro erano già giunti in buona sostanza anche i carabinieri, i quali nel loro verbale evidenziano come “il muretto di contenimento, che era rimasto in sede e a cui l’automobilista si era appoggiato, è crollato verso il basso perché, pur essendo in cemento, era privo di qualsiasi ferro d’armo interno che ne avrebbe impedito la rottura e, cosa più importante, il crollo improvviso e inaspettato”. Senza contare che i militari rilevano anche, a loro volta, che “la segnaletica, sia verticale sia orizzontale, era del tutto insufficiente, come anche l’illuminazione”, e che “la pericolosità dell’arteria provinciale denominata Sp 22, già nota, si manifesta in occasione di eventi temporaleschi”.

Contro ogni evidenza, tuttavia, i legali della società ASE S.p.a. – operatore economico dell’Accordo Quadro per l’Affidamento di Lavori, Servizi e forniture e Gestione integrata della rete viaria provinciale suddivisa in tre zone, a cui la Provincia di Reggio Calabria ha affidato la gestione delle vertenze in danno avanzate nei confronti dell’Ente provinciale e relative a sinistri stradali causati da fatti connessi o conseguenti all’appalto in questione – hanno denegato ogni responsabilità, sostenendo che la manutenzione ordinaria della strada risultava “regolarmente eseguita”, che la pavimentazione era in buono stato e la sede stradale in buone condizioni di pulizia, addebitando le responsabilità del sinistro esclusivamente al conducente della vettura, definendo “pretestuosa” la richiesta risarcitoria presentata da Studio 3A per conto dei propri assistiti e parlando di “meri intenti speculativi”. Termini lesivi della stessa immagine dello Studio, al punto che il suo Presidente, dott. Ermes Trovò, ha presentato anche una querela per diffamazione.

Altrettanto sorprendenti, in verità, erano state anche le conclusioni del Pm, la quale, pur ammettendo la presenza nella strada “di difetti di segnaletica e illuminazione”, non ha rinvenuto “elementi tali per poter ritenere che tali assenze siano cause del sinistro che ha condotto Zema alla morte. Non sono infatti emersi elementi tali da ritenere che la causa del sinistro sia da rinvenire in fattori legati alla viabilità ed alla corretta tenuta, né sono stati rinvenuti difetti di manutenzione del parapetto”, con conseguente richiesta di archiviazione.

Richiesta contro la quale Studio 3A con il proprio servizio legale ha subito presentato opposizione, con successo. Il 24 dicembre, infatti, il Gip Antonino Foti ha reso nota la propria decisione in merito all’opposizione discussa nell’udienza in camera di consiglio del 25 ottobre scorso, nella quale il Giudice, alla luce delle risultanze emerse, ha disposto di riaprire completamente l’inchiesta, ritenendo necessario “procedere ad ulteriori indagini” per verificare tutta una serie di punti.

Nel dettaglio, il Giudice chiede di verificare, attraverso a nomina di un Ctu, le condizioni effettive della manutenzione stradale della Sp 22, “apparendo contrastanti all’evidenza la documentazione prodotta dalla difesa con le valutazioni espresse nella relazione tecnica di parte e quelle indicate dalla polizia giudiziaria. Si richiede un approfondimento specifico investigativo in merito alla regolarità dei muri di contenimento e alla qualità del calcestruzzo e del materiale di cui sono composti, prendendo in considerazione in modo specifico le indicazioni tecniche della relazione di parte”, ossia della perizia prodotta da Studio 3A.

Non solo. Il dott. Foti reputa anche necessario verificare “la portata e l’esattezza dello svolgimento dei lavori assegnati all’impresa ASE “Autostrade Service – Servizi al Territorio spa” sulla base della determina n. 554 della Provincia, risultando dagli atti che la manutenzione stradale non fosse idonea, anche a seguito della data indicata di ultimazione dei lavori, 19 marzo 2015”: lavori che erano stati consegnati all’impresa appena un mese prima, il 18 febbraio. Di qui la richiesta del Gip anche della “verifica sul controllo operato dell’organo provinciale in relazione al contratto di global service, sentendo a sommarie informazioni il direttore dei lavori, geom. Giacomo Mandaliti, il direttore tecnico per l’impresa, ing. Massimiliano Patruno, e il direttore dell’esecuzione dell’appalto, ing. Paola Rogolino sull’appalto in questione”. Infine, il Gip chiede di acquisire tutta “la documentazione relativa all’esecuzione dell’appalto in questione e al pagamento delle somme pubbliche stanziate, non potendosi escludere anche un’inesatta esecuzione dell’appalto pubblico”. Antonino Foti ha quindi restituito gli atti al Pm dandogli sei mesi di tempo per effettuare queste ulteriori indagini.

Logica la soddisfazione di Studio 3A per la presa di posizione del giudice, sia per i propri assistiti e per le loro istanze di fare chiarezza sull’incidente, sia, più in generale, per l’obiettivo di mettere finalmente in sicurezza quella strada ed evitare altre tragedie. “Il Gip ha accolto in toto quelle che erano le nostre osservazioni e le nostre richieste, a dispetto d chi, contro ogni evidenza, descriveva quella strada come la più sicura del mondo e usando anche termini diffamatori – commenta il Presidente di Studio 3A, dott. Ermes Trovò, alludendo al diniego di ASE – Siamo certi che il Ctu che sarà nominato dal Pm non potrà che arrivare alla stesse conclusioni a cui sono già giunti sia il nostro tecnico sia gli inquirenti: a dispetto dei lavori di manutenzione, quella strada è in condizioni disastrose, che hanno avuto un ruolo determinante nella tragedia costata la vita al signor Zema, e va assolutamente messa in sicurezza al più presto per scongiurare altre vittime”.

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