Il Martire don Giovanni Minzoni di Virginia Iacopino

virginia iacopino

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Dormirò in pace come un guerriero che, colpito a morte, si avvolge nella sua bandiera.

Questo don Giovanni Minzoni, il prete massacrato dai fascisti, aveva annotato nel suo diario giornaliero che egli chiamava “il giornale dell’anima”, prezioso documento che si trova nell’Istituto Storico della Resistenza di Ravenna.
Don Minzoni, medaglia d’argento al valor militare, è il grande martire della lotta agraria romagnola e sapeva parlare alla gente credente e non credente. Ancorato ai principi tradizionali della sua chiesa non si sottrasse però alle numerose iniziative in campo sociale concependo una spiritualità nuova e rivoluzionaria; disinteressato al denaro e alla carriera verticistica ecclesiastica.

Aderì al movimento internazionale dello scoutismo che si ispirava al criterio educativo della piena responsabilità dei giovani riguardo ai diritti e ai doveri, spingendoli ad amare la natura. Molti dirigenti cattolici non erano della stessa idea e per questo non iscrissero i propri figli a questo movimento invitando i credenti ad aderire ai balilla. Si voleva così stroncare il suo insegnamento educativo capace di formare giovani discepoli in grado di comprendere il vero insegnamento di Cristo: uno per tutti e tutti per uno (principio fondamentale dello scoutismo). I fascisti andavano dicendo che quel prete rosso doveva essere bastonato perché era un prete bolscevico. Per don Minzoni la croce cristiana non doveva speculare contro la lotta ideologica del nascente bolscevismo che voleva la liberazione dei popoli dalle chimere e dai dogmi prodotti dall’immaginazione religiosa che costituiva l’oppio dei popoli.

Sapeva bene che fu la Russia che seppe conservare il cristianesimo nella sua purezza e verità originale salvaguardandolo dalla tirannia del potere temporale del papato. Dava la giusta interpretazione della dottrina cristiana per questo era rispettato e ammirato anche in quel lembo di terra romagnola anticlericale “mangiapreti”.
Don Minzoni insieme alle leghe rosse aveva dato vita alle cooperative agricole. Affittavano terre che davano lavoro ai braccianti a piena tariffa non più sfruttati dai latifondisti agrari. Si viveva insieme ai poveri e per i poveri che non significava spogliarsi dei beni superflui, spazzatura ingombrante dei ricchi, ma cercare di non produrli.

Nelle ultime pagine del suo diario si legge: “il popolo reduce dalla guerra, ha imparato una parola che farà tremare voi e i vostri figli: giustizia”. Si riferiva alle squadracce nere, ai figli di Balbo che incendiavano e devastavano i circoli culturali di sinistra, le camere di lavoro e le cooperative. L’offensiva fascista si scatenava a Ravenna. Balbo incendia il palazzo Byron sede delle cooperative e mette a ferro e fuoco tutta la provincia. Don Minzoni si rifiutò di esporre il tricolore alla finestra in occasione della marcia su Roma nonostante fosse invitato e minacciato dal dirigente del fascio locale. Il suo esempio fu seguito da altri preti ribelli che non si spaventavano di coloro che, di notte, sotto le loro finestre, cantavano la parodia del Miserere quindi  per don Minzoni non rimaneva che l’alternativa suggerita, a suo tempo, da Machiavelli: farlo fuori.

In giro si diceva: “se daranno una legnata a questo rivoluzionario non sarà male”. Don Minzoni rispondeva: “chi vuol essere apostolo di Cristo non può non essere predisposto al martirio“. Don Minzoni, Amendola, Matteotti, Gramsci, i fratelli Rosselli, Gobetti, Don Sturzo ecc. sono stati i grandi martiri della lotta per la redenzione del popolo italiano contro le minacce fasciste che si trasformarono in una serie di spedizioni punitive e repressive incoraggiate anche dall’Arcivescovo Achille Ratti che accettava e benediva nel duomo di Milano i gagliardetti e le bandiere dei reggimenti fascisti. Ratti, diventato Papa Pio XI, ripetutamente affermò nei confronti dei fascisti: “questi sono gli uomini del destino necessari per portare la pace. Che Dio ci conceda alcuni di questi fari per guidare e rischiarare il cammino dell’umanità”.

Il 23 agosto 1923 per un incidente (politico?) di caccia era morto, all’alba, il “rivoluzionario rosso” Sante Guerrini e don Minzoni, avvertito della disgrazia di dubbia natura, si era subito recato in casa della vedova rimasta con tre orfani senza alcun sostentamento di cui non doveva preoccuparsi, avrebbe provveduto la sua chiesa e la lega rossa. Mentre stava rientrando nella canonica in compagnia del parrocchiano Enrico Bondorelli, don Minzoni venne colpito alle spalle e ucciso con una forte bastonata che gli fracassò il cranio; morì vittima di quella violenza squadrista che egli aveva contrastato. Ad Argenta il fazzoletto intriso di sangue innocente ancora si conserva come reliquia. Mi chiedo perché don Minzoni è stato messo nel dimenticatoio? Non avrebbe diritto ad essere santificato? Arriverà il sole di rosso vestito per far germogliare i campi di pace e giustizia, di pane sudato col vero lavoro?

di Virginia Iacopino

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