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Riceviamo e pubblichiamo:
” Emigrazione
Lo squallore della più gretta povertà spinge i disseredati ad abbandonare la loro terra, cercando scampo con sbarchi clandestini.
Sono considerati come pericolosi invasori della gente del luogo che scatenano un odio razziale, che spesso sfocia in una deplorevole violenza.
La fame e l’emarginazione hanno una logica diversa dal “perbenismo” di chi non conosce problemi e sofferenze: per un “pugno di riso” i cosiddetti “uomini affidano a carretti di bambù, che sostituiscono i comuni mezzi di trasporto.
Gli avidi mercanti delle multinazionali li scacciano dalla loro terra o li costringono a fuggire, vinti dalla fame. Soltanto il commercio equosolidale ottempera alle carenze di gestione delle loro gestione, tenendo conto delle necessità dei produttori, per una dignitosa sopravvivenza e offrendo aiuto alle vittime incolpevoli di estrema povertà.
Gli emigranti, giunti in terra straniera, vorrebbero essere accolti come fratelli sfortunati e sofferenti ma molte volte il binomio è: clandestini / delinquenti.
Abbiamo perso la memoria di quando noi eravamo nelle loro condizioni, vittime del nord capitalista, del colonialismo piemontese, che dopo l’Unità d’Italia confiscarono le terre del regno delle due Sicilie, costringendo il popolo del Sud ad emigrare per sfuggire alla lotta per la sopravvivenza, alla condizione di essere deboli, schiacciati dai potenti, come i “vinti” del Verga :’Ntoni, Luca, Bastianazzo, Lia, la Longa.
Chi sono gli emigranti? Sono uomini come noi, essere intelligenti e sensibili, con una loro situazione, lingua, storia, usi, tradizioni e religioni diverse, facili ad adattarsi alla nostra cultura, per vivere insieme in un rapporto d’aiuto reciproco.
“Chi da’ non è mai cosi’ ricco da non aver bisogno degli altri e chi riceve non è mai così povero da non aver valori da offrire”
Lontani dalla nostra terra, gli emigranti offrono il loro servigi, svolgendo lavori che la gente del luogo si rifiuta di fare, invitandoci a prendere coscienza che la pacifica convivenza non conosce differenza di razza o colore, perché tutti siamo cittadini del mondo.
Se i nostri politici tenessero presente questo senso d’appartenenza, saprebbero mettere in atto delle leggi più giuste, controlli più attenti ai bisogni dell’emigrato, facile preda delle organizzazioni criminali.
Senso civico, etico, politico, cristiano nono sono valori separati, ma in perfetto equilibrio, che fanno di un uomo un essere capace di vivere in armonia con sé stesso in sintonia con la comunità civile.
C’è più gioia nel dare che nel ricevere, l’emigrante fa memoria e ci aiuta a scoprire la nostra parte migliore: l’immagine di Dio che è in noi e si manifesta principalmente nel povero, l’oppressore, nel fratello che viene da lontano e parla alla mente e al cuore con l’unica lingua che accomuna tutti: il linguaggio dell’amore”.
La poetessa e scrittrice Virginia Iacopino
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