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Due anni fa è morto mio papà. Aveva 84 anni, viveva da sempre lontano da Reggio Calabria, salvo un breve momento corrispondente al periodo del liceo classico (Tommaso Campanella), era nato in Africa. Ha lasciato scritto nel testamento che desiderava essere seppellito nella cappella di famiglia nel cimitero storico di Condera, volere che ovviamente abbiamo rispettato.
Qualche giorno dopo la sua morte, a seguito della pubblicazione del necrologio sul Corriere della Sera, riceviamo una bellissima lettera da un suo collega di Università, nella fattispecie il Politecnico di Torino, che ricordava come oggi, sessanta anni addietro, che Michele “si illuminava in volto quando evocava il mare e i colori della sua Calabria”.
Per chi ha conosciuto papà, che tornava a Reggio, a Lazzaro, ogni estate, nessuna esclusa, spesso solo per pochi giorni, il lavoro, la carriera, di più non consentivano, beh, per tutti era un brontolone. Questo non funziona, quella è una vergogna, non capisco perchè certe cose accadano solo qui, e via discorrendo. Tanto che ci si chiedeva perchè tornasse ogni estate, in fondo, sembrava lo facesse quasi esclusivamente per potestare, con se stesso, con gli amici, con le autorità. In realtà si godeva il mare, ce lo ha fatto conoscere ed apprezzare anche a noi, suoi figli, cresciuti ad estati trascorse in mare, tra surf, gommone, barca, snorkeling, e anche magnifiche immersioni ad esplorare i fondali marini e le navi sommerse.
Non si faceva mancare la gita a Gambarie, nonno era nato a Santo Stefano d’Aspromonte, qualche ora, al fresco, abbandonando il caldo feroce al mare. Le sue critiche erano amore per la Calabria, l’abbiamo scoperto a posteriori. Lo stesso amore che ho io, amore condito da un sentimento latente, esprimibile con poche parole, Calabria Grecanica, grande potenziale, tante difficoltà.
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