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di Saverio Verduci
Un rito tra il sacro e il profano che ogni anno e senza interruzione alcuna dall’antichità ad oggi, con assoluta sistematicità, scandisce la vita, la cultura, la spiritualità della Domenica delle palme di Bova, capitale della Grecità calabrese e che racchiude in se la magia, la suggestività e il fascino di una sacralità antica, di una antica identità storico-culturale mai sopita e sempre riconosciuta dalle genti greche di Calabria.
Un rito unico nella sua complessa simbologia che rimanda al paganesimo ma che allo stesso tempo evidenzia il suo stretto legame con le prime radici cristiane di questo estremo lembo di penisola lungo l’asse continuo della storia nel quale spesso non è facile identificare la linea di demarcazione, il limes, tra il cristiano ed il pagano, tra il mistico, il profano e il sacro.
Il rito della processione delle Persephoni di Bova è proprio questo! Una fusione tra il vecchio e il nuovo, tra l’antico e il moderno che è sopravvissuto superando il tempo e ogni tempo.
Un rito dalle origini poco conosciute che rimanda sicuramente alla mitologia della civiltà greca, unico nel suo genere celebrato solo nella Chòra tu Vùa che consiste nel portare in processione fino alla chiesa di S. Leo delle figure femminili costruite con foglie di ulivo e sagomate secondo varie dimensioni abilmente intrecciate dalla maestria dei bravi e sapienti contadini intorno ad un asse centrale costituito da una canna di bambù. Una serie bella ed affascinante di figure dette anche “Pupazze” che nel loro aspetto stilizzato identificano madri e figlie ingioiellate con frutta fresca e fiori di campo. Uno spettacolo suggestivo quello al quale è possibile partecipare percorrendo le piccole viuzze e gli stretti vicoli della cittadina che permette veramente di fare un salto indietro in un passato realmente mai “passato” anzi sempre presente e che riverbera tra i muri e le ombre delle vallate sottostanti il suo continuo essere in un insieme di forme e colori.
E’ proprio nell’ingresso in chiesa per la benedizione delle Persephoni che si può cogliere l’unione, in un unicum socio-culturale, del rito pagano e del rito cristiano. E’ questa una delle soglie di demarcazione delle due distinte matrici etnico-culturali. Un rito pagano celebrato in un giorno sacro per i cristiani, la Domenica delle Palme nel ricordo dell’ingresso di Cristo in Gerusalemme dove fu accolto proprio dalle folle con rami di ulivo e rami di palme.
Durante il rito della benedizione le Pupazze vengono disposte ai lati dell’altare e conclusa la cerimonia, all’uscita, vengono avvicinate alla gente che man mano, con compostezza, stacca rametti detti “Steddhi” da portare a casa.
E’ proprio nell’intimità e nella solennità delle mura domestiche che poi il rito continua; c’è chi posizionerà un rametto su un albero del proprio campo a simboleggiare il buon auspicio per una terra fertile e un buon raccolto, c’è che lo posizionerà nella propria camera da letto e poi c’è chi lo utilizzerà per “sfumicari”, cioè togliere il malocchio dalla casa. Infatti attuare questo rito era una tradizione, soprattutto tra vicini di casa e parenti. Si posizionavano su una tegola capovolta tre grani di sale e quattro foglioline di ulivo disposte a forma di croce e il tutto veniva ricoperto con della brace ardente. Il fumo prodotto dalla combustione poi veniva sparso per la casa alla recita della formula: “A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, dui occhi ti docchiaru, tri ti sanaru, lu Patri, lu Figghiu, lu Spiritu Santu. Tutti li mali mi vannu a mari e lu beni mi veni ccani. Lu nomu di San Petru e lu nomu di San Pascali, lu mali mi vai a mari lu beni mi veni ccani”. Trascorso l’anno, i ramoscelli benedetti, continuano ad essere sacri e l’unico modo per disfarsene senza sacrilegio è incenerirli col fuoco.
Riti magici, segni profani, simboli dall’alto valore antropologico-religioso che ancora sopravvivono nel tempo e nella coscienze delle genti che abitano questi luoghi nei quali il tempo e la storia non sembrano mai essere trascorsi.
Simboli che rimandano al mondo antico, al mondo classico, al mondo magnogreco ,al mito di Persephone e della madre Demetra o forse al culto preistorico della Gran Madre Terra, “Mana Ji” nel greco di Bova.
Dee Demetra e Persephone che presiedevano alla fertilità e all’agricoltura il cui culto era molto diffuso in tutto il sud Italia e in tutta la chora reggina cosi come in quella locrese e che venne praticato, con grande spiritualità, maggiormente tra le popolazioni campagnole, alle quali assicurò la produzione agricola, la fertilità dei campi e nello stesso tempo la custodia delle anime.
Simboli ed immagini di un mondo greco che ha piantato qui le sue nobili radici che oggi stanno producendo i loro frutti.
Notevoli, come già affermato, i segni che rimandano al mondo pagano e al mondo greco come ha ben sottolineato anche lo studioso Bruno Traclò: la stessa Bova vanta origini Magnogreche e la sua lingua ne è l’esempio più diretto, particolarmente viva a Bova è la tradizione di offrire a San Leo i germogli di grano votivo, Bova e l’intero suo territorio si trovano geograficamente vicini a Locri, o forse appartenevano topograficamente alla stessa chora locrese, dove sorgeva un importante tempio dedicato a Persephone, lo stesso San Luca, vescovo di Bova nel XII secolo, fa spesso riferimento alla presenza e alla pratica di riti pagani in questi luoghi.
Un’altra ipotesi formulata per spiegare le probabili origini di questo suggestivo rito è quella di relazionare le Pupazze con la rappresentazione della Quaresima bizantina. Sempre secondo Bruno Traclò:“tutt’oggi in Grecia, infatti, la quaresima è raffigurata come una figura femminile, spesso come una piccola bambola con una croce sul capo, indicante la sacralità del tempo quaresimale, simile a quelle elementari intagliate dai pastori dell’area greca di Calabria. Si può supporre pertanto una stratificazione della tradizione greco-bizantina su un preesistente mito antico”.
Orientata in questa direzione appare essere anche la tesi della Dott.ssa Alfonsina Bellio, specialista di Scienze Storico-antropologiche delle Religioni, che al misterioso rito di Bova ha dedicato il saggio “All’ombra delle pupazze in fiore. Antropologia di un rito nella Calabria grecanica” edito da Kurumuny con la prefazione del Prof. Vito Teti.
La studiosa, in questo suo lavoro si sofferma ad esaminare l’organizzazione stessa del rito cercando di spiegare come la tradizionale processione delle Pupazze si possa essere incrociata con i riti della Domenica delle Palme. Infatti nel corso della sua indagine essa afferma: “Diversi giorni prima, alcuni uomini hanno già portato grandi rami d’ulivo delle varietà locali, la chianota sinopolese, e canne lunghe, che servono per allestire le strutture portanti delle pupazze. Assemblate le varie parti, la pupazza è pronta. La si decora con nastri colorati, merletti, rami di mimosa e margherite bianche e gialle e altri fiori spontanei e poi frutta in abbondanza. Alcune figure sono abbellite da orecchini a forma di minuscolo paniere o altri monili. Ci sono figure molto grandi e altre più piccole, che vengono definite “madri” e “figlie”, nel segno dell’evocazione del mito greco (Demetra e Kore-Persefone)”.
Riti, simboli, immagini e trascendenze di un mondo reale nel quale continuano a vivere e a convivere fede, misticismo, realtà , suggestione e spiritualità che merita assolutamente salvaguardato e tutelato.
Sono questi i segni che vanno salvati dall’oblio del tempo! E la stessa storia che si racconta ancor prima che i libri stessi la raccontino in quel continuo processo di tutela, conoscenza e valorizzazione della nostra matrice identitario-culturale.
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