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Veltri e Varano hanno presentato a Bova il loro nuovo libro
“Una vil razza dannata ? riflessioni sulla Calabria e i calabresi”. È questo il titolo dell’ultimo lavoro scritto a quattro mani da Aldo Varano e Filippo Veltri, che ha fatto il suo debutto assoluto lunedì scorso nella sala del consiglio comunale di Bova in una serata voluta dall’Assesorato alla Cultura del centro aspromontano e dedicata alla Calabria ed ai calabresi ma anche e soprattutto al ricordo di Pasquino Crupi, storico e intellettuale calabrese prematuramente scomparso.
Proprio da una discussione tra Crupi, Mimmo Gangemi e i due autori prende corpo l’idea di un’opera che si prefigge di analizzare i mali endemici di una regione e soprattutto di una razza che portano con se tanti interrogativi, quelli a cui gli autori hanno cercato di dare una chiave di lettura originale e suggestiva. Presenti all’iniziativa, oltre ovviamente agli autori, anche lo scrittore Mimmo Gangemi, l’Editore Franco Arcidiaco, il primo cittadino di Bova Santo Casile ed il suo vice con delega alla cultura Gianfranco Marino.
Parlare di Calabria in maniera onesta, veritiera, priva di condizionamenti ideologici e senza giustificazioni facili. Questo uno dei propositi del lavoro di Veltri e Varano. Pasquino Crupi – spiegano gli autori – instancabile e attento, credeva nell’utilità delle discussioni, nella potenza del racconto, nell’esigenza di analisi lucide e attente che provassero a raccontare ancora una volta questa terra e questa razza troppo spesso definita “maledetta”.
Il nostro lavoro propone una selezione di saggi tratti dal numero speciale della rivista Il Ponte diretta da Piero Calamandrei, uscito nel settembre 1950 e interamente dedicato alla Calabria. Scrittori, intellettuali, storici del tempo come Alvaro, La Cava, Rèpaci, Zanotti-Bianco e molti altri raccontarono allora la regione come oggi nessuno sembra più in grado di fare. Cioè, al di là dei cliché in cui è caduta, al di là di quelle immagini che i calabresi si sono lasciati costruire addosso: briganti, mafiosi, emigranti, sempre testa dura, indolenti, passivi, abituati a chinare il capo o a compiere i peggiori crimini.
Abbiamo volutamente inserito il punto interrogativo a una vil razza dannata, proprio per evitare di dare ricette, il nostro vuole essere piuttosto un’analisi dei contesti storici e dei fatti, che diventa spunto di riflessione su cui ognuno possa cimentarsi. Lucida, sarcastica ma anche pungente al punto giusta l’analisi di Mimmo Gangemi, che punta l’indice verso l’incapacità del calabrese di scrollarsi di dosso una sudditanza calata dall’alto e figlia di una storia che ci vede perennemente subalterni.
La mafia – spiega Gangemi – e i falsi miti di una onorata società buona che, fino circa quarant’anni addietro rubava ai ricchi per dare ai poveri, in realtà non è mai esistita. La mafia è un sistema di controllo del territorio che fa comodo a tanti tranne che alla nostra terra.
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