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UN GRANDE PATRIMONIO NON VALORIZZATO E SENZA TUTELA
LE ACQUE POTABILI TRA LE MIGLIORI D’EUROPA
INVECE DI MIGLIORARE SALUTE E CONDIZIONI ECONOMICHE DEI CALABRESI
FAVORISCONO DISSESTI IDROGEOLOGICI
Il seminario sulle acque potabili promosso dal presidente della Giunta
Regionale e dall’assessore regionale alla Sanità con l’addetto vendite di
kit di analisi e un importante esponente dell’ambasciata USA, richiama
l’attenzione su aspetti d’interesse generale riguardanti le carenze sul
piano legislativo e la specificità dell’assetto idrogeologico del territorio
regionale con le maggiori disponibilità d’acquiferi con acqua potabile
d’ottima qualità. Aspetti spesso trascurati non solo da chi preposto alla
tutela della salute dei calabresi e allo sviluppo economico della Calabria:
I RITARDI E LE INADEGUATEZZE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE
1) Il cambiamento previsto dalla nuova normativa sulle acque destinate al
con consumo umano migliora ma, secondo informazioni scientifiche aggiornate,
non è ritenuto adeguato a salvaguardare pienamente la salute. E per
rendersene conto basta l’esempio del com’è stata ed è fissata la C.M.C.
(Concentrazione Massima Ammissibile) dell’arsenico nelle acque destinate al
consumo umano.
In considerazione del fatto che è provato come l’assunzione di dosi molto
basse ma per lunghi periodi d’alcune sostanze, ad esempio: arsenico,
alluminio, ammoniaca, boro, manganese, possa far insorgere malattie molto
gravi e persino tumorali, è stata introdotta una nuova normativa che prevede
come CMA dell’arsenico nelle acque potabili una riduzione dagli attuali 50
microgrammi per litro a 10µg/L.; per le acque minerali la stessa CMA
d’arsenico sarà di 50 microgrammi per litro.
La normativa prevede quindi che le acque minerali in bottiglia possano
contenere arsenico in quantità superiore e ritenuta dannosa per quelle
potabili del rubinetto di casa.
La differenza tra le quantità di sostanze ammesse per le “minerali” e le
“potabili” è resa possibile in quanto le acque minerali sono considerate
“bevande” come ad esempio il vino o la gassosa e, quindi soggette ad una
normativa meno restrittiva rispetto all’acqua potabile. L’incongruenza è
giustificata, solo in via teorica, dal fatto che le bevande non possano
essere assunte nelle stesse quantità delle acque potabili. E così, ad
esempio, per il vino la CMA di piombo è notevolmente maggiore di quella
prevista per l’acqua potabile; e questo perché si ritiene che se una persona
assumesse due litri di vino il giorno, prima di soffrire per le
intossicazioni da piombo, andrebbe incontro ad altre gravi controindicazioni
per la salute.
Ma c’è di più, sempre riguardo all’arsenico, risultati di apposite ricerche
svedesi del 1979 confermati da altri studi tossicologici, epidemiologici e
geochimici hanno dimostrano come l’arsenico poteva ingenerare l’insorgenza
di neoplasie a partire da concentrazioni molto basse negli alimenti e
nell’acqua potabile con quantità uguali o superiori a 10 microgrammi per
litro di arsenico. Va inoltre considerato che negli stessi anni la CMA
prevista dalle normative internazionali ed adottate da tutti i Paesi
occidentali era di 50 microgrammi per litro e che solo nel 1993 l’O.M.S.
(Organizzazione Mondiale della Sanità) ha raccomandato l’adozione di CMA
uguale a 10 µg/L. Questo ultimo valore, nel maggio del 2000 negli USA, non è
stato ritenuto cautelativo ed è stato indicato di adottare il valore di
5µg/L per l’immediato e di 3µg/L come obiettivo finale, e decisi sostanziosi
stanziamenti per avviare il risanamento finalizzato all’abbassamento del
limite dell’arsenico a 5µg/L .
La presenza nelle acque di sostanze come l’arsenico non è dovuta soltanto ad
inquinamento antropico ed industriale.
Alcune sostanze molto tossiche come ad esempio arsenico, mercurio, boro e
fluoro possono essere disciolti naturalmente nell’acqua che circola in rocce
come quelle vulcaniche alcali-potassiche del quaternario dell’Italia
centrale, con vulcanismo attivo come nell’isola di Vulcano oppure
caratterizzate da particolari processi idrotermali. Si consideri che la gran
disponibilità d’acqua del lago di Vico nel Lazio non può essere utilizzata
per scopi idropotabili perché presenta concentrazioni d’arsenico superiori a
quelli indicati come ammissibili dall’Unione Europea.
L’IDENTITA’ DELLE ACQUE MINERALIZZATE NELLE ROCCE PIU’ ANTICHE E RARE DELLA
CATENA APPENINICA D’ITALIA
2) L’acqua disponibile nella regione, oltre ad essere abbondante, è di
ottima qualità e tra le migliori d’Italia e d’Europa. Per le caratteristiche
geolitologiche delle rocce serbatoio e per la composizione dell’aria
attraversata dalla pioggia prima d’infiltrarsi nel sottosuolo, l’acqua delle
sorgenti calabresi presenta composizione chimica, biologica e temperatura
ottimali dal punto di vista della potabilità.
Grazie ai preziosi accumuli di minerali presenti nelle antichissime rocce
costituite prevalentemente da Graniti, Scisti, Gneiss che non si trovano in
nessun’altra regione di tutta la catena appenninica italiana la
mineralizzazione delle acque calabresi è particolarissima. La gran
diffusione di queste rocce, i processi geodinamici e la piovosità molto
elevata (la Calabria è una delle regioni più piovose d’Italia) rendono il
territorio calabrese ricco di suoli fertilissimi e di numerose sorgenti e
falde d’acqua potabile ed anche termale di rilevante importanza e differente
qualità.
La pioggia che alimenta le falde non è acqua distillata ma può contenere
anche una grande varietà di sostanze, ioni e composti azotati derivanti, ad
esempio da polveri portati dal vento, spray marini, gas e sublimazioni di
solidi della crosta terrestre ed emesse da attività vulcaniche, prodotti
metabolici immessi nell’atmosfera da organismi viventi, ecc. Ma oltre che
dalla qualità dell’aria, l’identità chimico-fisica delle acque sotterranee
dipende principalmente dalla composizione della roccia serbatoio e da altri
fattori quali la permanenza nel sottosuolo, l’interazione fra acqua e roccia
e l’eventuale mescolamento fra acque con diverse caratteristiche.
Sui processi di formazione va considerato che una prima mineralizzazione
avviene durante l’infiltrazione nei suoli che forniscono sali minerali e
ioni derivanti dall’alterazione delle argille. Più in profondità, gli
ammassi rocciosi entro cui circolano le acque possono essere schematicamente
distinti in: rocce a composizione prevalentemente silicea chimicamente poco
o pochissimo solubili, caratterizzati da permeabilità decrescente e fessure
che tendono ad occludersi per il deposito di caolino ed argilla originati
dall’alterazione dei feldespati; e rocce a composizione calcarea con elevata
solubilità che aumenta con il grado di acidità delle acque meteoriche e
permeabilità crescente.
Il tipo di fessurazione e la localizzazione di Graniti, Scisti, Gneiss,
Porfidi a composizione silicea della Sila, delle Serre, dell’Aspromonte
favoriscono sistemi di filtrazione e adsorbimento con formazione di sorgenti
di buona ed ottima qualità riguardo anche l’assenza d’inquinamenti chimici e
microbici.
Per quanto riguarda le rocce calcaree molto diffuse in altre regioni
d’Italia, bisogna distinguere: le zone dove sono diffusi e rilevanti i
fenomeni carsici con cavità, caverne, laghi e fiumi sotterranei, nelle
quali, in genere, i fenomeni di autodepurazione risultano limitati e le
acque tendono essere dure e terrose; e le zone dove invece le fessurazioni
sono di limitata grandezza e in parte ostruite da detriti e sabbia che
filtrano adeguatamente le stesse acque rendendole di buona qualità come, ad
esempio, quelle della capitale.
Nei terreni sedimentari presenti in corrispondenza delle tre grandi pianure
di Sibari, S.Eufemia e Gioia Tauro e nelle fasce costiere della Calabria si
alternano strati permeabili di ghiaie e sabbie a strati impermeabili
all’acqua, come argille e limi, con più falde idriche di qualità e quantità
variabile a seconda dei terreni attraversati e dal tempo di circolazione.
In base alla quantità di sali minerali contenuta ed alla legislazione
vigente le acque sono classificate in minimamente mineralizzate,
oligominerali, minerali e ricche di sali minerali. A seconda del tipo di
sostanza prevalente vengono denominate solfate, fluorate, calciche,
bicarbonatiche, magnesiache, ecc.
E gli effetti sulle persone possono variare moltissimo a seconda delle
particolari condizioni fisiologiche di ogni individuo, ad esempio,.il fluoro
utile per combattere la carie e l’osteoporosi se in eccesso può provocare
intossicazioni, anche il sodio che è fondamentale nel biochimismo generale
se presente in quantità elevate determina ritenzione idrica con conseguenze
sull’apparato circolatorio.
L’USO DISTORTO DELLE RISORSE IDRICHE ED I RISCHI CONNESSI ANCHE PER
L’ASSENZA DI NORME REGIONALI
3) L’industrializzazione nel settore delle acque minerali segna il passo
come in tanti altri settori. In Calabria s’imbottiglia poco sia rispetto al
consumo e sia rispetto ai dati di produzione nel contesto italiano. Per
rendersene conto basta fare il raffronto tra gli impianti presenti nel
territorio calabrese e quelli esistenti in altre regioni con disponibilità
di molto inferiori in qualità e quantità d’acqua; in Toscana ed in Emilia
Romagna, ad esempio, con minore disponibilità di risorse idriche, esistono
più del doppio degli impianti esistenti in Calabria. Paradossalmente, nella
regione che può vantare le fonti più esclusive ed il massimo della qualità,
si continua ad ignorare o a sottovalutare anche la tendenza in atto nei
locali di ristoro di presentare con la carta dei vini anche la “Carta delle
Acque”.
La grande disponibilità di risorse idriche è documentata da varie ricerche
come lo “Studio Organico Delle Risorse Idriche Della Calabria” ("Progetto
Speciale 26"), che, oltre a rilevare la presenza di più di 10 mila pozzi, ha
confermato l’esistenza di circa venti mila sorgenti metà delle quali con
portata superiore a sei litri al minuto. E, ricordando le indagini per detto
Studio, sono ancora vive nella memoria dello scrivente le numerose sorgenti
con ricche portate di buon’acqua potabile dispersa caoticamente lungo i
versanti e nelle vicinanze di centri abitati che d’estate soffrivano la sete
e d’inverno scivolavano a pezzi verso valle per l’azione lubrificante nel
sottosuolo della troppa acqua persa dalle reti idriche fatiscenti.
Oltre a limitare lo sviluppo ed a creare disagi nelle popolazioni la mancata
raccolta ed utilizzazione delle acque delle sorgenti collinari e montane
accentuano i ben noti processi di degrado e dissesto idrogeologico delle
valli calabresi. Nelle zone di pianura costiera l’irrazionale emungimento
operato attraverso migliaia di trivellazioni, non essendo compatibile con i
tempi di ricarica sta riducendo le falde idriche con conseguente ed
irreversibile avanzamento delle acque salmastre ed il costipamento delle
rocce serbatoio, con il ben noto abbassamento del suolo al quale sono
connessi i fenomeni di deperimento della copertura vegetale e l’arretramento
dei litorali con l’invasione del mare.
Tutto ciò anche per il non aver provveduto a dotare la Calabria di norme
regionali per la tutela e valorizzazione delle risorse idriche e delle acque
minerali come invece si è fatto in tutte le altre regioni d’Italia.
Favorire la considerazione anche di questi tre aspetti accresce la
consapevolezza dei cittadini sulle acque da bere e farà bene anche alla
salute ed allo sviluppo economico della comunità calabrese.
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